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giovedì 30 agosto 2007

j’abandonne

Un uomo naufragato dopo un lutto. Un lutto, la morte della moglie, a cui accenna appena, qua e là, ma che – come una lente – gli fa vedere, ingigantito, tutto lo schifo di questa vita e ormai solo quello. Glielo rende insopportabile, gliela rende insopportabile.
Il libro è l’incessante monologo, di quest’uomo, diretto a sua figlia, un esserino gioioso di neanche due anni. Una piccina che, per quanto amatissima, lui sente che non riuscirà a trattenerlo. Sente che la presenza di lei non è abbastanza per fermarlo dal non voler essere più. E in questo continuo parlare alla figlia nella propria testa, affiora più volte la colpa. La colpa di averla fatta nascere in un mondo che adesso, a lui per primo, fa orrore. La colpa per l’estremo abbandono che lui sta per infliggerle. Perché lui non ce la fa a restare qui. Un qui che è l’inferno dei viventi e che lui vuole lasciare, presto, anche se questo vuol dire lasciare pure il suo scricciolo di nove chili e trecentociquanta grammi, che lo chiama “papà mio” e che è uno splendore quando ride, quando dorme e soprattutto, almeno per lui, quando sbadiglia. La ama tanto, se ne lascia commuovere, ma sente che lei è troppo piccina per riuscire a tenerlo a sé.

Sentiamo tutti i pensieri del giorno che lui pensa essere l’ultimo. Quello in cui le darà l’omogeneizzato per l’ultima volta, in cui – per l’ultima volta – la lascerà alla babysitter e uscirà da quella porta dopo averla abbraccia e baciata pieno d’amore e disperazione.

Il libro è Io me ne vado di Philippe Claudel (2000 là, 2007 qua, Ponte alle grazie qua, ben tradotto da Francesco Bruno). Ho deciso di scrivere questo post a 30 pagine dalla fine. Tanto ho capito che Claudel non mi deluderà. Non voglio però che leggendomi possa trasparire, anche involontariamente, il finale della storia. Io ancora il finale non lo so.

È scritto davvero bene. Gli incastri dei ricordi ti fanno vivere l’ultima settimana dell’io narrante nei pensieri di poche ore. Ti ritrovi anche tu tra l’abisso di un sofferto non volerci essere più (sofferto ogni giorno, ogni minuto di ogni giorno) e l’amore per quella bimba miracolosa. Miracolosa come – m’immagino – debba essere ogni figlia di neanche due anni per il proprio padre. Una figlia che, per di più, è restata per lui l’unica cosa bella sulla faccia della Terra.

...

Mi fermo un attimo, rileggo il post e penso: "ma perché mai qualcuno dovrebbe voler leggere un libro così pieno di disperazione?"
Forse perché nel libro oltre alla disperazione (che pure c'è) c'è tanto amore. E non solo l'amore per la bambina, che ogni volta che appare sulla pagina è un'autentica gioia, una gioia anche per te che leggi. Non solo l'amore per la moglie morta, un amore dolente, accennato, ma non per questo meno intenso. C'è anche, forte, l'amore per gli altri. Un amore che a tratti è compassione, più spesso è indignazione per come capita che gli altri vengano trattati dagli altri. Ma, sotto la disperazione, per tutto il romanzo scorre anche l'amore.

Mi mancano 30 pagine, l’io narrante ha una figlia splendida che lo aspetta a casa, forse invano, e io ho un libro di là sul letto che mi aspetta per essere finito, come non mi capitava da molto tempo.

Torno da lui.

(ah, il risguardo della seconda di copertina – che poi è anche il testo della scheda che si trova on line – è scritto davvero male, se il libro vi capita per le mani, fatevi un favore: il risguardo non leggetelo)

mercoledì 29 agosto 2007

cuore di cane

Non so se avete presente quei cani che credono dei essere degli esseri umani. Vivono a contatto coi loro padroni, li amano, ne sono amati e, presto, si convincono che loro e i loro padroni sono uguali, della stessa specie. Sono quei cani che, se per fargli uno scherzo, quando entrano in una stanza li accogli dicendo “toh, un cane”… loro si guardano in giro sorpresi, magari un po’ preoccupati: “un cane?! e dov’è?… a me non piacciono i cani”.

Ecco, io sono più o meno così per la lettura.

Se entrando in una stanza qualcuno mi accogliesse dicendo “toh, uno che non legge libri” io mi guarderei in giro con l’aria sorpresa (e forse schifata o di compatimento) dicendo “uno che non ne legge?! poverino, e dov’è?”.

Sono io.

Da anni – di fatto – non leggo più libri, in particolare non leggo più narrativa (ma non è che di saggistica, poi…). Il perché proprio non lo so. Fatto sta che io psicologicamente questa cosa non l’ho mai accettata.
Come quei cani che pensano di essere come i loro padroni. Guardo a chi non legge libri come a un poveraccio. Leggo con interesse le recensioni dei romanzi sulle riviste, ascolto volentieri gli amici che mi parlano delle loro ultime letture, annuisco, quasi come se fossi davvero uno di loro. Poi però mi rimetto a quattro zampe, abbaio forsennato a un gatto di passaggio e torno alla mia cuccia tutto soddisfatto.

Questa tirata perché? Perché adesso sto leggendo un romanzo (!) e ne sono avvinto. E quindi credo che più tardi ci scriverò sopra un post.
Così – almeno per una volta – la mia illusione sarà completa, nel mio blog ci sarà pure un post sull’ultimo romanzo che ho letto, proprio come succede nei blog di tutti gli altri esseri umani.

bau…

arf arf…

martedì 28 agosto 2007

la paura fa '60 (1)

Come ammosciare un gran bel riff di chitarra (per tacer del resto), questo è l'originale:

(The Kinks - You Really Got Me - 1964)

e questa è la versione nostrana:

(I 4 Califfi - Ti giuro è così - 1965)

godetevela che tutto sommato è una delle più potabili del mio piccolo tesoro che ho messo assieme in anni di ricerche, tesoro che ho finalmente deciso di condivere con voi.

(e ne ho in serbo di ben più dolorose)

tu ridi sempre sai,
tu ridi sempre quando parlo a te-ee


(e probabilmente ci sarà stato il suo bel motivo...)

lunedì 27 agosto 2007

paradossi

segreto della settimana n. 42



SONO DEPRESSO PER VIA DEI DEBITI.
La cosa buffa è che non posso permettermi la TERAPIA.



Più bizzarramente paradossale un commento a questa cartolina arrivato via mail: "sono agorafobo e non posso uscire di casa per andare in terapia".

Siamo dalle parti della gag di paolo rossi in cui - in contemporanea - riceveva lo sfratto e gli arresti domiciliari. Quella però mi faceva ridere di più.

Di PostSecret ho parlato QUI.

(fuggevole menzione d'onore per Zia Janet e la sua intolleranza per la biancheria intima... "There's a fire in my heart and you fan it... Janet" :)

fumetti di cui vorrei parlare...

... ma di cui non trovo il tempo di parlare, non per ora

Kevin Huizenga - Maledizioni (piaciuto) [Kevin H: QUI sito, QUI blog]
Ellis/Templesmith - Fell (piaciuto molto)
Gilbert Hernandez - Nuove storie della vecchia Palomar (mah...)
Gilbert Hernandez - Pigrizia (doppio mah...)
Daniel Clowes - Ice Heavem (piaciuto molto) [QUI intervista radio, in inglese]

più un pacco d'altri ma di cui, onestamente, se anche non trovo il tempo di parlarne non è che succede qualcosa di brutto, né a me né agli altri.

venerdì 24 agosto 2007

link

Volevo farlo da tempo...
Nella colonna qui a fianco ho messo i link ai blog che linkano qui.

Già che c'ero ho anche linkato i tre blog che hanno chiuso il giorno dopo aver linkato il mio (lo so, non serve a nulla, sono broken link, pazienza...)

guerra al grande nulla*

«Sai cosa sto facendo? Aspetto. Aspetto di fare il lavoro che devo fare… ossia ciondolo per casa (oppure ciondolo per la rete, comincio a non cogliere più la differenza) in attesa di mettermi lì a lavorare. Come se il mettersi lì a lavorare fosse una sorta di fenomeno atmosferico – come la grandine – improvviso e imprevedibile.
Nel frattempo però non faccio altro, come se temessi che andando – per esempio – in libreria (questione di 15 minuti tra andata e ritorno più il tempo che ci passo) io mi esponessi al rischio di farmi cogliere lì dal lavoro, scatenando chissà quale disastro (e non vale solo per l’uscire, ma anche per il mettermi a leggere un libro, un fumetto, guardare un film). Come se il lavoro si potesse manifestare in un qualunque momento. Solo che io SO che è falso. Perché io so che a me il lavoro si manifesta sempre e solo nell’ultimo momento possibile. Qualche ora prima della consegna, qualche giorno prima, se il lavoro è grosso.
Mi chiedo se, potendo prendermi una pausa, potendo fermarmi un po’, questo mi farebbe bene o male. Ma è un pensiero ozioso. Accademia. Ho preso quegli impegni che sai. E, a parte gli impegni, c’è il conto in banca che non è mai stato così smilzo (e all’orizzonte già si profila l’oscuro spettro del rifacimento dell’impianto del gas).»

Questo scrivevo qualche tempo fa in una mail in risposta alla domanda “come te la passi?”. Adesso va un filo meglio, sto provando a correre ai ripari: da qualche settimana ho ripreso (spero brevemente) la terapia e da qualche giorno mi sono trasferito a lavorare a casa di un amico, che abita vicino a me il giusto. Un posto accogliente ma dove io non ho internet (lui si, ovviamente :) e dove non ho tutte le mie cose lì a distrarmi. Insomma, qui ciondolare è più difficile (e poi lui è di là che traduce come un treno, lo sento battere i tasti anche in questo momento, spero che la sua alacrità mi contagi).

Magari, alla fine, se ne avvantaggia anche questo povero blog, nei momenti come questo, di pausa dal lavoro, posso pure mettermi a scrivere qualche post, che poi copincollo e pubblico, con comodo, tornato alla magione. Prossimamente – dal mio nuovo eremo di scrittura – proverò addirittura a raccontarvi una storia che aspetta di essere raccontata da prima che aprissi 403.

- - -
* il titolo del presente post è preso in prestito da quello di un romanzo di James Blish. Il romanzo (per quel che ricordo) ha poco a che vedere con la mia condizione attuale, ma il titolo italiano mi pare che calzi a pennello.

ps. il presente post è illustrato con la riproduzione di una scultura di Claes Oldenburg macchina da scrivere fantasma [Model (Ghost) Typewriter, 1963] be'... non avete idea di quanto sia stato complicato trovarne un'immagine in rete, e poi dicono che in internet è tutto lì a portata di mano...

giovedì 23 agosto 2007

la rete, questa sconosciuta...

Conosco una persona, mia coetanea, che vive qui a milano, che non ha accesso al web.

Questa persona la conosco da un po’. Ma solo l’altra sera ho scoperto che non può accedere al web. Non ha a casa un computer e in ufficio il suo può ricevere la posta elettronica e basta.

Conosco qualche persona anziana che non ha internet, ho qualche parente (ma della generazione prima della mia) che vive in campagna e che non ha internet (o quantomeno non ha internet veloce). Grazie alla scoperta dell’altra sera mi sono reso conto che in effetti io – da anni – frequento solo persone che hanno accesso al web e quindi, se a una cena conosco qualcuno di nuovo, ormai do per scontato che anch’egli acceda al web. È come dare per scontato che goda dei diritti civili.
Ho a che fare col web grossomodo da quando esiste e, sia pure sporadicamente e indirettamente, con internet da molto tempo prima. Questo mi porta a pensare all’accesso a internet come a un’ovvietà. Scoprire che qualcuno che mi pare “normale” non acceda a internet (e per di più per scelta, visto che in ufficio vabbe’, ma a casa potrebbe) è stato come scoprire che qualcuno, qui, vive senza telefono (non senza cellulare, proprio senza alcun tipo di telefono) o forse anche peggio.

Però non è che ho provato a fare proselitismo, non mi è neppure venuto in mente di tessere le lodi del web. Di dirle che dovrebbe comperarsi un computer.
È così bello essere diversi.

martedì 21 agosto 2007

due maccheronzi bolognese, please

Facciamo finta che tanto tempo fa, in Nuova Zelanda, i nostri immigrati che per primi avevano aperto là dei ristoranti italiani si siano messi d’accordo per fare uno scherzo alle spalle di tutti gli abitanti di origine anglosassone.
Di comune accordo, i maccheroni, invece di chiamarli così, nei menù scritti sulle lavagne appese sui muri dei vari locali, facciamo finta che li abbiano chiamati maccheronzi.
A loro faceva morire dal ridere che gli ignari avventori si sedessero a tavola e ordinassero “maccheronzi for two, please”. Certo, davanti ai clienti si tenevano, ma poi in cucina, passando al cuoco l’ordinazione, giù a ghignare come maledetti. Erano altri tempi, ci si divertiva con poco.
Però il gioco è bello se dura il giusto e, col passare degli anni, non solo non li divertiva più sentire quella massa d’ignoranti chiamare maccheronzi i maccheroni ma alla fin fine la cosa li scocciava pure. E così, un po’ alla spicciolata, senza consultasi e di sicuro senza dare spiegazioni ai loro clienti, i ristoratori trasformavano i maccheronzi dei vari menù nei più corretti maccheroni, e in capo a un anno in tutta Auckland erano restati giusto un paio di ristoranti ad avere ancora in lista i maccheronzi.

Ovviamente non è mai successo nulla del genere.

Però è quello che mi sono immaginato che sia successo qui a Milano con quei posti che vendono quel cibo, tipico mediorientale (ma, nella forma diffusa da noi, inventato in Germania), costituito da un grill verticale in cui pezzi di carne fatta a brani e ricomposta in un grosso spiedo fatto a cono rovesciato vengono lentamente arrostiti.
Quando sono arrivati qui, quei posti e quel cibo si chiamavano kebab, colla "b" finale, adesso si chiamano tutti (o quasi) kebap, colla "p". Com’è che è successo? Perché? Com’è stato che, dopo anni, una “b” è diventata “p” nel volgere di qualche mese.
Ecco, io sospetto che, per davvero, quei panini, quei posti, si siano sempre chiamati kebap, ma sentir ordinare del “kebab senza piccante e senza cipolla” ai ristoratori faceva molto ridere. Poi però si sono stufati e hanno cominciato a chiamarli col nome giusto, quello con la “p”… Adesso qui le insegne sono quasi tutte diventate kebap.
Misteri della ristorazione.


Che poi a voler leggere tra le righe di wikipedia parrebbe che la grafia con la “p” finale sia più turca, mentre quella con la “b” sia più arabo/magrebina.

Però, anche se fosse, si chiude un mistero per aprirne un altro. Prospettandosi un possibile agghiacciante scenario da notte dei lunghi coltelli in cui i kebabbari di origine araba sono stati, di colpo, sostituiti dai kebappari di origine turca.

brrrrrr…

meglio, l’ipotesi maccheronzi…

lunedì 20 agosto 2007

quella volta che una stronza mi ha salvato la vita

segreto della settimana n. 41


stavo per uccidermi, ma la persona del telefono amico è stata così maleducata
che invece ho scrito una mail infuriata al suo supervisore...

Di PostSecret ho parlato QUI.

(dalle parti di PostSecret con i video ci stanno prendendo gusto, questa settimana ce n'è un altro)

sabato 18 agosto 2007

luoghi dove sono stato felice (2)

Ormai mi è chiaro che anche per quest'estate di vacanze non se ne parla, per 'stavolta mi accontenterò dei ricordi, lontani, di un'altra estate, una vita fa...

In ogni caso, anche se non vado in vacanza sarò comunque via dalla rete per un paio di giorni... voi intanto passatemi un buon finesettimana che poi, con chi c'è, ci si ripiglia.

vincere la guerra con le parole crociate
e parlando dialetto

Cosa accomuna un signore inglese nato nel 1912 di nome Alan Turing ai 400 e passa indiani navajo che dal 1942 vennero impiegati dai marines come marconisti durante le operazioni di guerra nel Pacifico?
A me vengono in mente tre cose: l'appartenenza a una minoranza discriminata (Alan Turing era omosessuale mentre i navajo erano navajo), l'essere stati determinati per l'esito del secondo conflitto mondiale a favore degli alleati (in particolare per i loro meriti in campo crittografico e criptoanalitico) e infine la successiva sostanziale ingratitudine di cui furono oggetto.


code-talker: come i pellerossa sconfissero i giapponesi
Chi ha visto il film di John Whoo Windtalkers sa già di cosa parlo (o almeno così immagino, io il film non l'ho ancora visto).
È il 1942 quando l'ingegnere Philip Johnston ha un'idea per migliorare la situazione dell'esercito USA nella guerra che nel Pacifico sta combattendo contro il Giappone: usare il linguaggio dei navajo come se fosse un codice segreto già pronto per l'uso. Johnston ha ben presente quanto sia difficile capire il navajo, perché in tutta l'America (e quindi nel mondo) non ci sono neanche una trentina di bianchi che sono in grado di farlo e lui è uno di questi.
Non è che in quel momento l'esercito americano non abbia dei sistemi di cifratura efficaci, anzi. Durante la seconda guerra mondiale tutte le parti in causa possono contare su macchine per la cifratura dei messaggi estremamente sofisticate, se usate bene sono addirittura imbattibili. Però la cifratura meccanica è una questione lenta, ci vuole tempo per cifrare il messaggio, tempo per trasmetterlo, una lettera alla volta, e tempo per decifrarlo. Tutte cose che si possono fare con comodo stando dietro le linee, ma provate a farle in una trincea da evacuare di corsa mentre siete sotto il fuoco nemico.
L'idea di usare dei nativi americani da un capo all'altro della radio, per scambiarsi informazioni in sicurezza durante le azioni militari, come se fossero macchine da codifica viventi, in realtà era già stata messa in pratica altre volte, fin dalla prima guerra mondiale. Ma fu nel 1942 che l'uso dei nativi, e in particolare dei navjo, venne sistematizzato e venne elaborata una serie di convenzioni per esprimere in lingua nativa termini - ovviamente inesistenti - come "portaerei" o "bombardiere".
La scelta ricadde sui navajo perché erano una tribù abbastanza popolosa per avere un numero sufficiente di maschi, bilingui (che oltre al navajo sapessero anche l'inglese) in grado di diventare marconisti. Inoltre non solo la lingua navajo era una lingua a sé, parente di nessun'altra, ma nessun linguista tedesco, prima della guerra, l'aveva studiata (come era invece successo per le lingue di sioux, chippewa e prima-papago, le altre tribù candidate).
Nonostante i nativi fossero trattati da schifo (cittadini di seconda classe, senza neanche il diritto di voto) i volontari per difendere la "loro" patria non mancarono, anzi, alcuni arrivarono a falsificare i dati anagrafici pur di partire (anche quindicenni), altri si sottoposero a una dieta di acqua e banane pur di raggiungere i 55 chili, il peso minimo per l'arruolamento.
Dopo il primo gruppo di una trentina, ne verranno formati e inviati al fronte molti altri, in tutto i code-talker (i parlatori in codice) saranno 420.
I code-talker costituiranno un vantaggio non da poco per le forze americane, secondo alcuni determinante - per esempio - in occasione della presa di Iwo Jima.

Tornati in patria i marconisti navajo, che tanto avevano fatto per l'esercito USA, non ebbero i riconoscimenti che gli sarebbero spettati e la vita che li attendeva sarebbe stata forse un po' meglio di quella ante guerra, ma per tanto tempo restarono cittadini di seconda classe. Il fatto è che l'impenetrabilità del "codice" navajo aveva dato risultati così brillanti che la cosa rimase coperta dal segreto militare fino al 1968. Quindi fino al '68 nessun riconoscimento, nessun articolo di giornale che ne commemorasse le gesta. Poi, un po' alla volta, qualcosa si è saputo. Dal 1982 esiste pure una "giornata nazionale" dei parla-codice nvajo, cade il 14 agosto, giusto un paio di giorni fa.

QUI la storia dei parla-codice spiegata un po' più in dettaglio.

alan turing: salvare il mondo dal nazismo e poi morire come biancaneve
Facciamo un passo indietro, torniamo durante il conflitto e spostiamoci in Gran Bretagna. Siamo verso la fine del 1941 quando il Daily Telegraph organizza un concorso tra quei lettori che sono affezionati solutori del cruciverba pubblicato quotidianamente dal giornale. Se ci mettono meno di 12 minuti a risolverlo possono vincere 100 sterline. Ovviamente dovranno dimostrarlo risolvendone uno presso la sede del quotidiano. 25 lettori accettarono la sfida e cinque di loro la superarono. Ancora non lo sanno, ma hanno appena sostenuto la prima prova per entrare a far parte del servizio segreto di Sua Maestà (al secondo colloquio sarà ammesso anche Stanley Sedgewick, che allo scadere dei dodici minuti ha completato l'intero schema tranne una parola).
Il servizio segreto britannico sta infatti cercando personale per Bletchley Park (nota anche come Stazione X) il luogo dove centinaia di cervelloni sono impegnati nella crittoanalasi (ossia nella decodifica) dei messaggi cifrati dei paesi dell'asse. Soprattutto a Bletchley Park si cerca di violare il codice dei messaggi codificati da Enigma. Si cerca e spesso, sempre più spesso, ci si riesce pure.
Per riuscirci il servizio segreto ha riunito a Bletchley Park le menti più disparate, non solo abili solutori di cruciverba (come Stanley Sedgewick), non solo linguisti e matematici ma anche "un noto collezionista di porcellane, un conservatore del museo di Praga, il campione britannico di scacchi e numerosi esperti di bridge"(*). Chiunque sia in grado di tirare fuori idee - meglio se innovative - per vincere la guerra dei codici, che corre parallela all'altra guerra, quella che si fa con navi, aerei e cannoni, a Bletchley Park è il benvenuto.

Nella composita umanità che abitava Bletchley Park c'è anche Alan Turing, brillante matematico e logico, uno dei padri teorici del computer. Di Turing ne dà una un ritratto efficace Piergiorgio Odifreddi QUI, quindi io tiro via un po' rapido [anche se purtroppo il link alla bio di Odifreddi non è più consistente QUI la wiki].
Turing sarà tra quelli che più contribuiranno allo scardinamento del codice di Enigma, da un lato scoprendo uno dei tanti errori commessi dai tedeschi nell'uso della macchina cifratrice, ossia che certe parti dei messaggi cifrati erano prevedibili a priori (per esempio il termine "wetter", "tempo atomosferico" in tedesco, che aveva una posizione fissa nei quotidiani bollettini meteorologici) dall'altro progettando una macchina elettromeccanica in grado di semplificare vertiginosamente il lavoro di decodifica.
Se i tedeschi avessero usato Enigma nel modo migliore possibile probabilmente il suo codice non sarebbe stato violato, ma - in ogni caso - senza il contributo di Turing i britannici non avrebbero mai avuto a disposizione gli strumenti per farlo.

Non è che il suo Paese non fu riconoscente verso Alan Turing, anzi, finita la guerra Turing ricevette anche un paio di onorificenze. Però Turing era omosessuale e negli anni '50 in Gran Bretagna essere omosessuale era un reato. Lo era a tal punto che quando Turing - denunciando alla polizia un furto che aveva subito - ammise candidamente di avere una relazione con un altro uomo (per altro il probabile colpevole del furto) la polizia lo arrestò per atti gravemente contrari alla pubblica decenza. Poi il processo, la notizia sui giornali, il governo che da allora gli negò l'accesso a tutte le informazioni riservate, la condanna, le sedute psicoterapia obbligatorie, la terapia ormonale - altrettanto obbligatoria - che lo rese obeso e impotente, la depressione e, infine. un paio d'anni dopo il suicidio: avvelenamento da cianuro.
E probabilmente il metodo che usò per uccidersi fu quello di immergere una mela in una soluzione al cianuro e quindi morderla. Morendo proprio come morì Biancaneve. Solo che per lui il principe azzurro non venne mai a destarlo dal sonno eterno.

- - -
(*) cito da Codici & Segreti di Simon Singh (Rizzoli, 1999) che è la mia fonte principale per tutto quanto scritto in questo post su Turing e i navajo.

martedì 14 agosto 2007

tu sei buono? hai lo sguardo buono...

Un paio di giorni fa, un post di baxx che mi ha fatto pensare a quanto io sia chiuso nei confronti di chi già non conosco: QUI.

A volte ho come l'impressione che io, per essere disponibile nei confronti di qualcuno, abbia bisogno che ci sia prima qualcun altro ci presenti.

lunedì 13 agosto 2007

esta noche

Sono reduce da una serata a tratti molto intesa. Cena a casa dei vicini con un po' di invitati, per me quasi tutti sconososciuti, tra loro c'è una coppia di mezza età di origine argentina. Quando sanno che faccio i fumetti mi raccontano che loro conoscono bene Muñoz e Quino, e già questo mi emoziona. Poi si comincia a parlare della comunità argentina di milano e da qui a parlare di quello da cui sono fuggiti loro ci vuol niente.
La tipa di fronte a me ha sette desaparecidos tra i suoi familiari, anche un fratello e una sorella, e ha una nipote - neonata all'epoca della sparizione dei genitori - che non si sa dove sia, probabilmente data in adozione a qualche militare.
I lucciconi non mi sono venuti quando si parlava del passato. I lucconi mi sono venuti quando ha raccontato di un suo recente viaggio a buenos aires (lei ha lì una mamma novantaduenne che ancora non ha rinunciato all'idea di riabbracciare la sua nipotina). Era lì, a spasso nel quartiere che ha lasciato trentanni fa, espatriando. E ha trovato, nel parco davanti a casa, una lapide messa di recente, con l'elenco di tutti quelli del quartiere che sono scomparsi durante la dittatura. Mentre la leggeva le si è avvicinato un ragazzo del posto, avrà avuto sì e no diciotto anni. Il ragazzo non la conosceva, non sapeva che su quella lapide lei stava leggendo il nome di sua sorella, di cognati e cognate, del fratello. Il ragazzo l'ha avvicinata e le ha detto "quelli sono nostri, la lapide l'abbiamo messa noi".

È questo che mi ha fatto venire i lucciconi, sentire raccontare dei ragazzi nati dopo la fine della dittatura che vogliono ricordare, che pretendono una giustizia che è ancora negata.

il segreto della settimana n. 40

Come fosse lì a festeggiare la cifra tonda di questa mia rubrichina, questa settimana PostSecret ha un video al posto della solita selezione di cartoline, per chi non mastica l'ingelese è un po' faticoso, non c'è che dire...

Di PostSecret ho parlato QUI.

sabato 11 agosto 2007

due buone vecchie risate

Quindici vignette tratte da vecchi comic book che brillano per il loro umorismo involontario. Selezionate e pubblicate quanche tempo fa da YesButNoButYes.

Solo per chi mastica un po' l'inglese, nella maggior parte dei casi si tratta di termini gergali con doppi sensi a sfondo sessuale (però ci sono anche un paio di gustose scenette sessiste, quella qui sopra e una in cui Reed Richards dice a Sue Storm che le mogli sono fatte per essere baciate, non certo ascoltate).

can che abbaia...





Amo i Beatle Barkers sin da quando il mio amico Carlo comprò il loro disco - più di vent'anni fa - per mille lire da Nannucci a Bologna.


(The Beatle Barkers - We Can Work It Out)


QUI la copertina originale del loro album (quella qui sopra è apocrifa, il gruppo neanche era inglese, era neozelandese).

QUI un breve articolo su di loro (in inglese) con tutti gli mp3 scaricabili dell'album.



Buon finesettimana.

venerdì 10 agosto 2007

fantaflickr

Se io fossi una casa editrice in attività forse vorrei essere la Fantagraphics.

Girovagando per Flickr sono incappato nella pagina della casa editrice di Seattle.

Oltre 450 immagini, tra riproduzioni di pagine a fumetti, foto dei volumi pubblicati e reportage dagli inconti e dagli eventi organizzati dalla casa editrice.


Questi sono i fratelli Hernadez che lo scorso febbraio firmano roba in ocasione dei 25 anni di Love & Rockets.

Questo è Joe Sacco in visita agli uffici dell'ediore, in aprile.


E questo è Stan Sakai fotografato qualche giorno fa, durante l'ultima San Diego.

QUI Flog! il blog di Fantagraphics.
QUI il loro sito.

giudicando dalla copertina

Copio da Le copertine di Urania di Michele Mari, tratto dall'antologia Tu sanguinosa infanzia Modadori 1997.

«[...] Il piccino che ancor non sa leggere vede quei libri sottili nelle mani del nonno (quella ininterrotta serie di libri) e ne deduce una sua idea di periglio: nell'avo intuendo un sacerdote sciamano, nei libri una iniziatica clavis a orrendi e pur solenni Misteri. Se il nonno impunemente maneggia tutti quei mostri effigiati - è l'ammirata scoperta del suo cervellino - avrà stipulato con essi un accordo (accordarsi coi Mostri!), povero nonno, grandissimo nonno, costretto a non sbagliare mai nulla, il più piccolo errore e i Mostri saranno spietati con lui, con la nonna, con il nipotino che passa tutte le domeniche da loro, un solo risucchio, una maciullazione immediata. Allora, mentre il nonno legge uno di quei libri, il piccino lo scruta da lungi, simula un gioco dei suoi ma il ruolo di testimone lo investe, povero nonno, quali strazî sta soffrendo per noi, tutto bene nonno? la lettura sta riuscendo? [...]

Le copertine di Urania... mostri su mostri anzitutto, d'ogni genere e forma: loricati e squammosi, catafratti, pelosi, bavosi, mucosi, ungulati, fiammanti, bituminosi, lobati, crestati, gassosi, colanti, informi e deformi, araldici, immani, abominevoli, solinghi, aggruppati, prognati, deliranti, insinuanti, chtonî, zoomorfi, cachinnomorfi, metafisici, ulcerati, petrosi, grumosi, fibrosi, explosi, amebici, crepuscolari, guizzanti, ancestrali, tabefatti, rutilanti, maestosi, filamentosi, vermiformi, consapevoli, orripilanti, sempre orripilanti, sì, figure di plastico orrore che palpitavano per uscire da quelle copertine [...]

Perché c'era questo di intenso nelle copertine di Urania, che l'orrore vi si alternava all'incanto, e spesso vi si combinava in un'ambiguità che mi struggeva. Odiati mostri, mostri adorati, quanto mi siete stati vicini! E voi, bizzarre creaturine perplesse, lemùridi lisci, suadenti ectoplasmi, esseri disgregati, vampireschi grumi di energia, e voi cristalli, e voi gelatine, e voi filosofe mantidi, e voi peduncolanti baccelli, quanto eravate plausibili, quanto eravate perfetti! Quanto sapevate essere melanconici! [...]»

Michele Mari sta parlando delle illustrazioni di copertina che Karel Thole ha realizzato per 25 anni per la collana di fantascienza da edicola della Mondadori.

È vero che le copertine dei romanzi di fantascienza, in genere, tanto belle non sono, ma noi, qui in italia, abbiamo avuto la gioia di poter godere - per decenni - di quella che è forse la più rimarchevole eccezione a questa regola non scritta.

Sono legatissimo al lavoro di Thole (e non solo per Urania) un artista che per anni è riuscito a tirar fuori una copertina alla settimana, spesso opere migliori dei libri che illustravano (libri di cui Thole aveva solo una vaga idea, basandosi sui brevi riassunti che la redazione gli forniva). Ricordo l'impressione che mi fece Joe-Jim Gregory la prima volta che lo vidi sulla copertina di Universo di Heinlein. Ricordo l'acquisto del libro "Le primavere del mostro", forse il primo libro che io abbia mai comprato in un remainders. Ricordo il viaggio a Torino per vedere la mostra a lui dedicata.
Non posso dire di averlo conosciuto Thole, gli fui presentato una volta, ma non scambiammo neanche due parole. Ma ha accompagnato la mia giovinezza di lettore e poi fui amico fraterno di un illustratore che lo frequentava e che lo considerava suo maestro. Quei mostri, quei paesaggi inquietanti sono parte del mio panorama affettivo.

QUI un sito splendido che raccoglie tutte le copertine di Urania e di una buona parte delle collane a essa collegate (mancano purtroppo i Classici di Urania). Le illustrazioni di questo post vengono tutte da lì.

QUI un ricordo dell'opera di Thole scritto da Giuseppe Lippi.

QUI un'altra pagina di testi a lui dedicati, due ancora di Lippi e uno di Antonio Faeti,

mercoledì 8 agosto 2007

42

segreto della settimana n. 39



Altra settimana non scintillante in quel di PostSecret, ma qualcosa da segnalare, a mio avviso c'è.




Caro Dio.

che cosa significa veramente tutto questo?




Tutte le volte che penso al senso della vita per prima cosa mi viene in mente l'omonimo film dei Monthy Python.

Poi, se ci penso ancora un po' su penso al numero 42 (che come ogni lettore della Guida Galattica per Autostoppisti sa, è LA risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto - QUI i PDF scaricabili delle edizioni italiane di tutti e cinque i libri della "trilogia", finché durano). Stop. Le mie speculazioni filosofiche sul fine ultimo della nostra esistenza sulla Terra si fermano qui.



Menzioni d'onore:




Faccio gli esercizi di Kegel nella postazione di bagnina.



(e una mail le risponde: "io li faccio quando sono seduta in chiesa")





Tornando a casa da una lezione di galateo, mia figlia e io abbiamo fatto una gara di rutti.

Non mi divertivo così da tantissimo tempo.




Di PostSecret ho parlato QUI.

casa dolce casa

Ecco, tornare in questa casa senza acqua calda, senza la possibilità di farmi un piatto di pasta - e chissà per quanto tempo - non è stato il massimo della gioia. Se poi si pensa che nei pochi giorni in cui sono stato via, piuttosto che niente, passando di notte da un posto che si chiama Curreggio, sono stato pure tamponato da un tipo che sta a Gattinara e che mi ha danneggiato non poco l'auto, si può capire quanto il mio umore sia pericolosamente vicino a quello di SadKermit.

(SadKermit è identico a Kermit del Muppet Show solo che è molto molto triste, beve e si droga).



QUI il video di SadKermit che canta e suona Hurt di Nine Inch Nails (questo è un video "vero" non di montaggio come quello qui sopra).

QUI gli mp3 di queste e altre interpretazioni strappalacrime della rana triste (sì, c'è anche Hallelujah di Leonard Cohen).

venerdì 3 agosto 2007

its a gas! gas! gas!

Viviere una decina di giorni senza gas è stato anche - a suo modo - divertente. Un'occasione per cambiare all'improvviso abitudini alimentari (le mie non sono proprio da manuale di dietologia). Un'occasione per socializzare di più (andando a fare la doccia in piscina o da vicini di casa). Un modo per riflettere su quanto siano importanti certe comodità della vita di tutti i giorni che noi diamo per scontate (questa è una stronzata, ma mi piaceva mettere tre cose e la dieta e i vicini sono solo due).
Vivere i prossimi mesi senza gas sarà - a suo modo - meno divertente. Perché è di oggi la notizia che il gas non me lo ridanno. L'impianto fa schifo e va rifatto. Fino ad allora: bombole. In realtà bombole solo se e quando avrò trovato qualcuno disposto a modificare il mio attuale impianto di casa, e la nota battuta di woody allen* vale per milano d'agosto ancor di più che per new york la domenica.

Me ne occuperò settimana prossima (quando trovare idraulici e negozi di ugelli sarà ancor più arduo), perché oggi motivi familiari mi portano via di qua (e dalla blogosfera).

Con chi c'è ancora ci si ribecca tra qualche giorno, a chi - nel frattempo - se ne parte, auguro: buone vacanze!

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* la nota battuta di allen recita "Non solo Dio non esiste, ma provate a trovare un idraulico la domenica".

giovedì 2 agosto 2007

non è vero (ma non ci credo)

Grazie a chiedi la luna e a parole valigia la maledizione che pareva aver colpito sto blog si è dimostrata per quella bufala che era. Vivi e paolo mi hanno messo nei loro blogroll da più di tre giorni e i loro blog sono vispissimi.

Grazie a entrambi, per i link inannzitutto e per aver funto da esorcisti :)