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mercoledì 16 settembre 2009

l'assessorato ombra del buonumore

Mi alzo stamattina e piove a dirotto. Esco sotto una pioggia battente e la prima cosa che penso è "non ci sono più le mezze stagioni", solo ieri era estate. Che poi giornata più autunalle di questa sarebbe difficile immaginarla, casomani si potrebbe parlare di "precessione dei cambi di stagione", ma suona peggio, mi pare...



Prendo la metropolitana, è tutto un ammassarsi di gente e strusciare di ombrelli bagnati, non è piacevole. Riesco a sedermi e mi immergo nella lettura. Purtroppo però la vettura è di quelle nuovissime.

Nelle vetture nuovissime c'è un altoparlante scassacazzo che, a volume sconsiderato, ci tiene a farti sapere, prima di ogni fermata, quale sarà la prossima, se le porte si apriranno a destra o a sinistra, quali sono i mezzi raggiungibili dalla prossima fermata e poi te lo ridice in inglese. Concentrarsi nella lettura con la voce impostata della signorina nell'orecchia non è facile.

Però alla fine ci riesco, mi estraneo e leggo. Intanto si è ormai giunti a una densità di viaggiatori appena minore di quella dell'uranio impoverito, attorno a me prevedibili facce, poco liete, da mattinata di pioggia milanese.
A un tratto mi accorgo di essermi immerso troppo nella lettura perché trasalisco all'annuncio della signorina dell'altoparlante che mi dice che la prossima fermata sarà quella DOPO la mia. Non mi è mai successo. Un po' sconcertato mi alzo. Arriverò tardi, pazienza...

Poi, fatta una piccola pausa e prima dell'arrivo della fermata, la signorina ci avverte che la prossima fermata sarà quella dopo ancora e, poco dopo, annuncia la terza fermata dopo quella in cui dovevo scendere io. Quando arriviamo in stazione scopro che siamo due fermate PRIMA della mia e la signorina, con uno sprint che neanche il coppi all'epoca, ci ha staccato di parecchio.

Non mi risiedo (anche se il mio posto resta meracolosamente libero, c'è così tanta gente che è un po' faticoso anche sedersi) e resto un po' pigiato con gli altri, mentre la signorina, preso l'abbrivio, non si ferma più.
La situazione è surreale e abbastanza comica, mentre veniamo ragguagliati sulle gesta dell'atletica speaker a molti di noi viene da ridacchiare. Ci si guarda in faccia. Un tipo accanto a me, mi rivolge la parola ridendo sotto i baffi: "ci tengono proprio a far vedere che hanno comprato gli altoparlanti". Siamo sempre in un vagone fitto di gente, con attorno a noi gli ombrelli bagnati degli altri e davanti a noi una grigerrima giornata milanese ma non siamo più così scuri in volto e io, per un paio di fermate, non me ne resto per conto mio nel libro, ma sono lì, con un sacco di sconosciuti, a condividere un'esperienza curiosa.

E per prima cosa penso che l'atm (ossia la locale municipalizzata dei mezzi pubblici, lo dico per i non milanesi) perde un colpo dietro l'altro. I nuovi tram fanno cagare o, detta un filo meglio, sono antiergonomici (chiaramente progettati da qualcuno che non ha mai preso un tram in vita sua, e che ignora quanto siano lunghe le gambe - non così poco come pensa lui - e le braccia - non così tanto come pensa lui - della gente comune), i nuovi pannelli elettronici alle fermate hanno peggiorato la funzionalità di quelli vecchi e di parecchio (quelli vecchi si vedevano da lontano, questi li hanno posti in modo che li leggi solo se sei in un punto preciso della pensilina di attesa), adesso gli altoparlanti in metrò sono a un volume fastidioso e impazziscono. Insomma uno schifo.

Poi penso che invece magari non è così, che poi - alla fin fine - questa cosa che è successa dell'altoparlante velocista mica è stata così male: lo spavento di aver toppato la fermata è stato minore della soddisfazione di non averla toppata affatto (e quindi +1 punto), il momento di buonumore c'è stato e mica solo per me (+2 punti) e, per cinque minuti, ho condiviso qualcosa coi miei casuali compagni di viaggio, qualcosa che non fosse il fastidio intendo (+2 punti). E allora penso che tutto ciò possa non essere casuale, che magari questa amministrazione comunale (che io quasi sempre disprezzo) magari si è inventata una cosa per far stare meglio noi milanesi, una sorta di assessorato al buonumore (assessorato ombra, sconosciuto a chiunque, che se certe cose paiono casuali funziona di più) che si inventa piccole cose così per rendere la giornata di noi milanesi più interessante. Poi arriva la mia fermata, per davvero, e allora non penso più e mi preparo a scendere.

Intanto la signorina non si è fermata un istante e snocciola con noncuranza gli annunci di tutte le fermate che sta raggiungendo, una dopo l'altra, e ormai è già fuori milano di un bel po'. Arrivando alla mia stazione conto sulla mappa di quanto ci ha staccato: è avanti di diciannove fermate! Vorrei avere io tutta la sua vèrve la mattina appena alzato.

martedì 8 settembre 2009

meglio tardi che mai...







Con una ventina d'anni di ritardo esce anche qui... tra dieci giorni è nelle sale, voi andatelo a vedere e basta, grazie...

[e grazie a Shapa che me lo ha appena ricordato]

venerdì 4 settembre 2009

io mi chiamo andrea

Un amico dei tempi del liceo (stessa classe, stesso anno di nascita) che ora vive a barcellona mi scrive che il marito di sua sorella (tizio che io non conosco) ha un guaio e mi chiede se posso dar loro una mano. Dico che va bene, lui mi manda il numero e io l'indomani (che poi era ieri) chiamo per dire che possono contare su di me. Mi risponde lui e l'attacco della chiamata è stato più o meno questo:
"ciao andrea, tu non mi conosci, sono andrea, un amico di tuo cognato andrea..."

Qualche anno fa, mi si propone di curare un libro. Si tratta della Guida turistica di Clerville. Capitava che tre pazzi scatenati grandi appassionati di diabolik avevano compulsato quarant'anni e passa di pubblicazioni (oltre 700 numeri regolari più tutte le uscite speciali) segnandosi ogni indizio riguardo alla geografia fantastica che gli autori delle avventure del Re del terrore si erano di volta in volta inventati. Poi partendo da questi indizi avevano ricostruito, a posteriori, una mappa dello Stato e della capitale dello Stato in cui diabolik vive le sue avventure. Ci voleva qualcuno che desse una forma al tantissimo materiale da loro raccolto e prodotto. Fui io.
Gli autori erano tutti più giovani di me e si chiamavano andrea, cristian e andrea. Essendo andrea pure io (nel colophon gli andrea vinsero per 3 a 1 contro i cristian) e tenendoci in contatto solo via mail (che eravamo spalmati su mezza italia) si arrivò presto al tacito accordo di chiamarci con nick o per cognome, come fossimo a scuola (per inciso, a scuola, ovviamente, non sono mai stato l'unico andrea della classe, all'inizio del liceo eravamo pure in tre a chiamarci così, poi ho cambiato scuola).

Di andrea più vecchi di me non ne conosco molti. I miei sostengono di avermi chiamato così perché era un bel nome, molto poco usato quando sono nato io...
Evidentemente lo stesso ragionamento deve averlo fatto qualche altro milione di coppie, in quegli anni lì.

Niente, è che ieri mi è successa quella cosa della telofonata e mi è venuto da sciverlo qui, che a me il mio nome piace, però mi avessero chiamato niccolò (altro candiato assieme a guido) forse oggi, quando telefono, non avrei l'abitudine di presentarmi con nome e cognome, anche quando chiamo i parenti stretti.

mercoledì 2 settembre 2009

senza passare dal via (3)

Chiacchiero col detenuto del lavoro che, ormai da qualche anno, svolge all'interno della prigione. Nell'area del carcere infatti c'è un capannone e in questo capannone c'è un call center, lui lavora lì.
Mi parla delle cose buffe che gli succedono ("servizio 1254 elenco abbonati..." "pronto vorrei sapere se Tal Dei Tali c'è ancora?" "In che senso signora? vuole sapere se esiste un'utenza telefonica a nome di Tal Dei Tali?" "no voglio sapere se Tal Dei Tali è ancora vivo oppure se è morto, per favore me lo dice?"), mi parla del caldo insopportabile che si patisce nel capannone e poi mi dice quante ore fa alla settimana e quanto guadagna al mese. È una miseria. Un'autentica miseria.

E allora io parto a rimuginare che non è giusto che, per il solo fatto che uno è carcerato, ci sia qualcun altro che possa approfittarsene così. Che se uno lavora in un carcere dovrebbe avere il diritto di essere pagato come quelli che lavorano fuori dal carcere. Che altrimenti siamo ai lavori forzati, mica solo in un carcere...

Mi scappa detto solo che mi sembra proprio poco e allora lui si mette lì a spiegarmi quanti centesimi piglia a chiamata e cose così. E allora io capisco che lui non è pagato così poco perché è carcerato, lui è pagato così poco perché lavora in un call center, punto. Insomma l'eguaglianza è salva (altri valori un po' meno, forse).

Comunque la seconda puntata mi pare che possa funzionare, e nei confronti del libro e del lavoro della direttrice direi che, tra le righe, viene fuori un senso di affettuosa approvazione. Fin qui tutto bene, quindi.