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venerdì 31 agosto 2012

il museo della scienza e della tecnologia

Il museo della scienza e della tecnologia di milano, dice che è il più grande d'italia. Ok, però io, penso, che sia anche il meno interattivo d'europa.

Lewis carroll faceva chiedere ad alice che senso avesse un libro senza dialoghi e figure, la stessa cosa io la penso dei musei scientifici riguardo all'interattività e quello di milano ha tre cose in croce che il visitatore può tirare, pigiare, ascoltare e muovere e però quasi la metà è rotta (qui sotto un mio parziale reportage a rifguardo).


Per il resto il museo mi è parso caotico e mal disposto, polveroso e spesso noioso...

Posso salvare giusto l'hangar delle locomotive (in cui si moriva dal caldo, forse per restare in tema di vaporiere) e quello con le navi e gli aerei (dove invece c'era l'aria condizionata, forse per restare in tema di venti in quota e brezze marine) e li salvo soprattutto perché a me piacciono le cose GROSSE.

A proposito di cose grosse non ho capito perché non si poteva entrare a visitare il sommergibile enrico toti. Mah...


Comunque, il toti, vederlo girare, lentissimo, per le strade di milano quella notte d'agosto del 2005 è stata un'esperienza. E io c'era.

giovedì 30 agosto 2012

milano

Milano è più bella di come la si pensa. Ma è una bellezza discreta, che abbisogna che, un po', la si vada a cercare. Mentre roma, firenze, venezia son lì a gridare ai quattro venti la loro bellezza, milano è più discreta, necessita di un po' più di attenzione.

E poi necessita anche di molta buona volontà se la si vuole vedere in agosto, perché la città i turisti non li vuole, non sa cosa farsene. E fa poco o niente per accoglierli. Puoi vagare a piedi, nell'afa, per intere zone in cui non c'è neanche un bar aperto. E intendo in centro, perfino accanto a Sant'Ambrogio – per dire – non in qualche periferia desolata. Che, anzi, essendo ormai molti i bar delle periferie gestiti da inaffaticabili cinesi è più facile trovare il sedici agosto roba aperta là che nei pressi delle mete turistiche blasonate.

E oltre alle difficoltà che impone al turista milano ha, a monte, anche il problema di restare antipatica (al resto d'italia ma, spesso, anche a se stessa). Gli anni '80 che, con la loro ignorante superficialità, vedevamo in questa città la loro capitale “morale” non ci hanno fatto bene.
Gli anni '90 dopo la breve illusione che mani pulite potesse essere l'inizio di un nuovo, e migliore, corso ci hanno portato l'inizio di un'era più ignorante e superficiale di quella passata. Insomma, non stupisce che milano non goda di buona stampa.

È tutto vero, però milano resta bella, anche molto bella, bisogna solo prestarle l'attenzione necessaria.

[fonte]

e quindi uscimmo...

Nicaragua, siamo in una riserva naturale sulla costa pacifica, usciamo dalla pineta e arriviamo sulla spiaggia che è notte, tra poco vedremo le testuggini depore le loro uova lì, a dieci centimetri da noi. Gli alberi finiscono e all'improvviso si apre il cielo sopra di noi, io guardo quelle centinaia di stelle, così tante da togliere il fiato, e penso: "il planetario!"

I planetari moderni nascono nel 1923, il planetario ulrico hoepli di milano è del 1929, all'epoca era ancora una novità. La macchina, il cuore del planetario, è stata poi cambiata nel 1968 e da allora basta. Qualche tempo fa, per un po', si era parlato di ammodernarlo, ma i soldi non son saltati fuori e ora si è smesso di parlarne.
Io sono arrivato a milano nel 1969 che ero all'asilo, l'unica volta che sono stato al planetario è stato pochi anni dopo, all'elementari. Ci sono tornato questo agosto, su desiderio della mia ospite (grazie rosalia!)
Me lo ricordavo benissimo.
Mi ricordavo l'ombra della grande e complessa macchina di ingranaggi e lenti al centro della sala semisferica, mi ricordavo il profilo della città che orna tutto il perimetro della sala, mi ricordavo quella sensazione magica di quando la cupola in muratura sopra la tua testa scompare per lasciar posto al cielo stellato.
Pura emozione infantile. Anche oggi.

Nel corso della settimana di vacanza ci siamo pure ritornati (per dire quanto ci ha convinto) e, nonostante il fatto che con un titolo diverso ci abbiano propinato sostanzialmente la medesima "osservazione guidata del cielo" di un paio di giorni prima, la magia è rimasta la stessa.

Ci tornerò, presto.


Prima di andare al planetario abbiamo fatto un salto al museo di storia naturale (nei medesimi giardini di porta venezia). La mia ospite non è una fan della tassidermia, quindi non è che l'abbiamo visitato davvero (ché vedere le bestie impagliate a lei faceva tristeszza). Però, visto che i musei civici in agosto erano tutti gratis, siamo entrati per andare a vedere un altro dei ricordi della mia infanzia: il triceratopo. Non è un triceratopo vero e neanche uno scheletro di triceratorpo, ma una ricostruzione in scala uno a uno della bestia, così come doveva essere.

Se l'emozione del planetario era lì, intatta ad aspettarmi dopo quarant'anni, non posso dire altrettanto del triceratops horridus che abita accanto. Ovviamente lo ricordavo più grande, molto più grande, "adesso" ha le dimensioni di un elefante obeso, da piccolo mi sembrava grande come una casa.
Anche perché al tempo del suo arrivo stava in una sala tutta per sé, che lui occupava per intero (certo, una sala piccina, posso dire adesso) oggi invece coabita con altri colleghi dinosauri e lo scheletro del T-Rex, lì a due passi, fa sicuramente più effetto.

Ah, tornando ai planetari. Ho scoperto che l'italia è piena di planetari: ce ne sono a roma, a torino, a venezia, a modena, a firenze, a lecco, a ravenna, a cagliari e chissa quanti altri. Sarei curioso di sapere come sono, come funzionano e se hanno dentro tutta la magia che ha il nostro qui a milano.

mercoledì 29 agosto 2012

sant'ambrogio

La basica di sant'ambrogio è un altro di quei posti che farei miglior figura a non dire che in tutti questi anni l'avevo vista solo da fuori.
Ora che l'ho vista anche da dentro posso dirlo: bella, è bella però...

Però, vabbe' che tiene un altare tutto d'oro masssello e argento, ma delle due l'una: o ci metti attaccato il lastrone di vetro antiproiettile spesso così, oppure ci metti le transenne da concerto che non ti fanno avvicinare al palco a meno di cinque metri... altrimenti mettici una bella copia e ciao, che diamine!


Il post su sant'ambrogio m'è venuto un po' corto, lo so, ma oggi ho un po' di febbre.

the ikea experience

Un bravo tour operator non deve limitarsi a proporre mete scontate e buone per tutti. Quindi sì, l'accademia di brera, sì il museo del novecento, ma alla mia amica ospite ho proposto anche un giro all'ikea.

Lei vive in un posto in cui l'ikea non c'è e non ci aveva mai messo piede prima e io penso che farsi un giro, almeno una volta, all'ikea, aiuti a capire un po' di più la nostra contemporaneità (per non parlare poi dei biscotti all'avena ricoperti di cioccolato, in vendita alla bottega svedese, che quelli aiutano a capire un po' di più quanto possa essere gioiosa la vita).

"The ikea expirience" (e il nome del pacchetto che ho dato all'escursione) prevedeva: giro all'esposizione di mobili, pranzo al self service ikea, piccoli acquisti nel mercato al piano sotto l'esposizione (piccoli acquisti io, non la mia ospite) e giro alla bottega svedese (per i biscotti e per – essendo lei una intenditrice – un sacchetto di patatine al gusto di cipolla e panna acida).

C'è da dire che, nella settimana di ferragosto, tutta milano doveva essersi chiesta "dove possiamo passare mezza giornata in un posto coll'aria condizionata e dove si può anche mangiare bene e a poco?" e tutta quanta si doveva essere risposta "all'ikea!".
Ma l'ikea è spaziosa e ci siamo stati tutti. Certo, se avessimo voluto mangiare all'una avremmo fatto più di mezz'ora di coda, ma noi volevamo mangiare alle due e ce la siamo cavata con una dozzina di minuti.

Salmone marinato e affumicato d'antipasto, le classiche polpettine tonde (köttbullar) con patatine, salsina e marmellata di mirtilli sopra. Mezzo dolcino a testa e via! Fatta anche questa immancabile tappa dell'ikea experience.

Dei biscotti non vi parlo che poi sennò sembro pagato.


E, visto che io sono un tour operator coscenziosissimo, per dare un'esperienza concreta e completa alla mia turista ho comperato un tavolinetto Lack nero (5,99 euro). Mica perché ne avevo davvero bisogno (per quanto abbia la casa grande e un tavolinetto in più fa sempre comodo) ma perché così la mia ospite ha potuto godersi tutta la trafila: la scatola piatta da portare a casa, le istruzioni pittografiche da seguire e la soddisfazione di veder nascere un pezzo d'arredo sotto i propri occhi.

The ikea experience.

martedì 28 agosto 2012

chiese chiuse

Una delle cose che più mi hanno sorpreso e irritato della milano d'agosto e del suo essere turista-repellente son state le chiese “chiuse per ferie”, come a dire "il signor gesù cristo è fuori ufficio, rientra il 3 settembre".

Santa maria presso san satiro (piccola e deliziosa con l'abside trompe l'oeil del bramante) chiusa tutto il mese, san bernardino alle ossa (con l'efficace ossario) chiusa nelle settimane centrali (per di più lo diceva un cartello che dopo pochi giorni si è staccato e perso, chi è passato dopo neanche ha saputo perché e per quanto era chiusa).

Ma anche chiese aperte e di notevole importanza, come santa maria delle grazie, chiusa più di tre ore filate per pausa pranzo, che se capiti nel momento sbagliato (come la famigliola giapponese che, in stentato inglese, ci ha chiesto informazioni in piazza cadorna) devi accontentarti di vederla dal di fuori e ciao.

[fonte]
Menzione d'onore, invece, alla cinquecentesca san maurizio al monastero maggiore e ai suoi affreschi coloratissimi, aperta, con depliant illustrati gratuiti e banchetto del touring club all'interno della chiesa con gente, dietro al banchetto, molto desiderosa di rendersi utile (anche un po' contro la tua volontà, perfino).

Bravi!

il museo del novecento

Del museo del novecento mi avevano parlato male persone fededegne.
Io ci sono appena andato e mi è piaciuto, parecchio.

Per di più quest'estate tutti i musei civici milanesi erano aggratis (sponsor: Eni) e lo era anche questo, ciò nonostate il 16 agosto non c'era dentro nessuno e visitarlo. No, dai, proprio nessuno no. C'eravano noi e qualche d'un altro (ma pochi, anzi poche, quasi solo donne, mah).

Il Quarto Stato

Arrivo e ad accoglermi ci sono i contadini de "il quarto stato" di pelizza da volpedo ed è un bell'incontro che, almeno in parte, mitiga quel brutto senso da "vorrei tanto essere il guggenheim di newyork ma purtroppo sono il museo del novecento di milano" che mi comunica la struttura dell'arengario che hanno tutta risistemata per l'apertura di questo museo a fine 2010.
E con quei contadini è un bel ritrovarsi perché li avevamo incontrati, giusto un paio di giorni prima, a brera dove è esposta "fiumana" opera incompiuta del pelizza, chiaramente prova generale per quello che poi sarà il suo quadro più famoso.

Fiumana
Poi per me, anche per quella cosa che dicevo ieri sull'arte moderna e la mia infanzia passata fra quelle figure, tutto il museo è stata una festa (una festa e una scoperta, che un po' di quella gente non c'era nei libroni dell'arte moderna della fabbri).

Se mi devo portare via, nella testa, un solo quadro (che i post dei blog devono stare leggeri, che poi magari i già pochi lettori s'annoiano) mi porto un altro dei classici della mia infanzia: "bambina che corre sul balcone" di giacomo balla, che era uno che dello scomporre e fissare il movimento su tela per un po' ne ha fatto una missione (e, prima o poi, riuscirò a vedere di persona anche il suo "le mani del violista").


Che poi io mica mi son portato via solo la figlia di balla che se ne corre sul balcone! Mi son portato via anche parecchia altra roba (un elenco delle opere esposte lo si trova qui, giusto per dare una scorsa ai nomi): mazzi di quadri di boccioni, una saletta dedicata quasi tutta a quel simpaticone di piero manzoni (con l'immancabile e sempre divertente merda d'artista), c'era anche uno dei libri cancellati di isgrò (che io mi sono pure fotografato – metto la mia foto sotto – ché i libri cancellati et similia sono una mia piccola ossessione, penso che ne riparleremo).

Mo' però mi fermo davvero.


Ma allora, perché le mie fonti fededegne mi avevano parlato male del museo del novecento che a me è piaciuto parecchio?

Io credo proprio che sia perché loro non l'hanno visto mezzo vuoto come noi e, a ragionarci, con quelle salette piccine, certi passaggi stretti, basta un po' di gente e non vedi più nulla e, insomma, un museo che ci si deve augurare che non ci vada nessuno che altrimenti non si vede nulla, in effetti, non pare una bella pensata.

Quindi, fate bene i conti e – se volete fare un salto lì, che io lo consiglio – fate in modo di andarci un giorno poco trafficato (tipo non nei finesettimana).

lunedì 27 agosto 2012

la pinacoteca di brera

La pinacoteca di brera io non l'avevo mai vista. Lo so, sarebbe meglio non dirla una cosa così. Sarebbe meglio dire: “erano anni che non visitavo la pinacoteca di brera”, ma non sarebbe il vero.
Lo stabile lo conoscevo perché da ragazzo ero stato più volte a consultare libri alla biblioteca nazionale braidense, un paio di volte sono stato pure all'orto botanico retrostante, ma la pinacoteca mai.


Ora dirò un'ovvietà: come per tutti i grandi musei (e per grandi intendo anche estesi) per godersela, brera, bisogna avere il coraggio di tagliar corto, di saltare anche intere sale, se è il caso. Ché tutta quella pittura veneta, lombarda ed emiliana del quattro-cinquecento sì, è bella, ma dopo un po' sortisce soprattutto l'effetto di far stare strette nella testa le immagini dei quadri che davvero vuoi portarti via di lì.
Che poi quei quadri non sono solo i “greatest hits” del museo (così a spanne: il cristo morto del mantegna, la pala montefeltro di piero della francesca, lo sposalizio della vergine di raffaello e il bacio di hayez) certo, sono pure quelli ma, personalmente, mi sono portato via con estrema soddisfazione anche l'enorme predica di san marco ad alessandria d'egitto di gentile e giovanni bellini (una tela di quasi 28 metri quadri, grande come un monolocale, una specie di cinemascope di inizi cinquecento), il trittico di camerino del crivelli (che a me è piaciuto più della più nota madonna della candeletta, sempre sua, esposta nella stessa sala) e pascoli di primavera di segantini (che un bel quadro divisionista fatto bene su di me ha sempre il suo fascino) più un bel po' di altri, ma in un post a modo deve starci poca roba e quindi chiudo qui.

Atto di civiltà il fatto che il biglietto vale tutto il giorno e quindi ci vai di mattina, esci per mangiare un boccone (che brera è una delle poche zone di milano con bar e ristoranti aperti verso ferragosto) e poi rientri a vederti la barcata di sale che ancora ti restano da vedere.

Infine un discorso a parte, per me, va fatto per le tre opere di boccioni presenti nella collezione jesi: rissa in galleria, la città che sale bozzetto per un quadro omonimo che sta al MoMA e l'autoritratto.
Da bambino, io sono cresciuto esplorando la biblioteca paterna e, in particolare, i volumoni della fratelli fabbri dedicati all'arte moderna. Gardavo le figure. Non ho mai letto nulla che non fossero le didascalie, quindi la mia ignoranza né è uscita pressoché intatta, però per anni ho passato lì i miei pomeriggi, dentro l'arte moderna (mica tutti i pomeriggi, uscivo anche per andare ai giardinetti o nei campi di mais verso chiaravalle a guardare i ratti che popolavano le fogne a cielo aperto che l'irrigavano) dicevo, per anni ho passato i miei pomeriggi lì, a guardare quelle figure: boccioni, balla, pollock, duchamp, kline, mondrian, oldenburg, warhol, lichtenstein, mirò, jasper jones, kandinsky, rauschenberg, rothko... non ne so nulla, nulla di nulla, ma quando incappo in uno dei loro quadri, mi sembra di essere tornato a casa.
E a brera, nella sala della collezione jesi, c'è un pezzetto di casa mia.

domenica 26 agosto 2012

uno vive a milano...

Uno vive a milano da quando ha cinque anni e per il fatto che ha tutto lì, a portata di metrò, niente. Non ci va. O ci va poco e raramente. Che, se non viene qualcun altro da fuori, niente. Bisogna andare a ripescare i ricordi di quando ti ci hanno portato che eri alle elementari o, se ti va bene, alle medie.
Ecco, io – con tutto che vivo qui da più di quarant'anni – si può dire che milano l'avevo vista da bambino.

Durante la settimana di ferragosto ho avuto il raro bene di avere un'amica ospite. Veniva da lontano, era stata a milano un paio di volte e solo per lavoro, anche lei – come me – apprezza il turismo cittadino. E quindi era deciso: avremmo fatto una settimana di vacanza turistica a milano, di quelle con almeno una cosa da vedere la mattina e una al pomeriggio e poi, magari, anche qualcosa da fare alla sera. E così, grazie a lei, ho potuto godere di una cosa che, a milano, io non ho mai avuto: i giorni contati.

Ché non è una vacanza se non hai i giorni contati, se non hai i giorni contati è un soggiorno, è un erasmus, è viverci.

[fonte]
Prossimamente ci sarà qualche post queste mie vacanze milanesi.

sabato 18 agosto 2012

turisti a casa propria

Sono assente pure dai commenti perché sono nel mezzo di una settimana di turismo... a Milano.

La settimana di turismo implica necessariamente l'accesso a internet limitato allo stretto indispensabile (controllare la posta una volta al giorno quando si rientra a casa la sera e stop).

I pezzi forti di oggi dovrebbero essere il Cenacolo Vinciano e la Pietà Rondanini (che qui si va sul classico, altro che vacanze intelligenti e mete alternative!)... comunque quando torno dalle vacanze vi racconto un po' com'è questa Milano di cui si fa questo gran parlare.

[fonte]

lunedì 13 agosto 2012

taglio di capelli numero cento

Alla fine degli anni '70 i gruppi inglesi erano molto poco pulitini, con gli anni '80 cambia la musica e cambiano pure le facce. Gli Haircut One Hundred avevano un'immagine da bravi ragazzi finanche stucchevole.

Ma a piacevano lo stesso, certo passare dai Sex Pistols a quella specie di chierichetti era un bel salto, ma comunque non è che io e i miei amici, dai Sex Pistols, c'eravamo davvero lasciati convincere e poi in quel periodo ci siamo fatti andare bene ben altri look.

Il loro primo album "Pellican West" (del 1982) vendette parecchio bene, trainato dai tre singoli "Favourite Shirts (Boy Meets Girl)", "Love Plus One" e "Fantastic Day". Poi le cose tra il cantate, Nick Heyward, e gli altri andarono a carte quarantotto e entro la fine dell'anno lui era fuori dal gruppo. Gli Haircut avrebbero pubblicato un secondo e ultimo 33 giri un paio d'anni dopo (di cui neanche mi accorsi dell'uscita, per dire il clamore che fece) mentre Heyward si avviò a una carriera solista che, almeno all'inizio, qualche successo e qualche buona canzone gliela concesse.

Ma nel 1982, prima di uscire dal gruppo, Heyward fece in tempo a pubblicare con gli Haircut One Hundred un ultimo singolo scritto e cantato da lui: "Nobody's Fool" come a dire “Accà nisciun'è fess” (ma forse non è proprio così).

Haircut One Hundred – Nobody's Fool (1982)

venerdì 10 agosto 2012

facciamo finta di essere sposati...

"1999" è il quinto album di Prince, il primo ad avere successo qui da noi (anche se già il precendete "Controversy" io l'avevo sentito un po' in giro) e, del resto, "1999" è anche il suo primo a finire della top ten americana di Billboard. Sarebbe poi stato il successivo "Purple Rain" il suo disco più noto e apprezzato. In ogni caso per tutti gli anni '80 (o quasi) Prince era avanti, e di parecchio, rispetto alla musica che facevano buona parte dei suoi colleghi.

Ah, il pezzo che ho scelto per oggi dura più di sette minuti ed è tutto uguale, siente avvertiti.
A me, comunqe, piace parecchio.

Prince – Let's Pretend We're Married ("1999", 1982)

giovedì 9 agosto 2012

libri, più o meno...

il libro che non può aspettare


Iniziativa promozionale di un'editore argentino: un libro a tempo.
Una volta lacerato il cellophane ci sono solo più due mesi per leggerlo. Poi il contatto con la luce e l'aria, progressivamente, lo cancellano, ché è stampato con un inchiostro fatto apposta.
Insomma, un'urgenza di lettura indotta. O, più semplicemente, una trovata per far parlare di sé.

[via valentina tanni]


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phone booth libraries


Aggiungere scaffali per libri alle postazioni dei telefoni pubblici, a nuova york: un'idea di John Locke per la diffusione di mini-blioteche spontanee grazie al bookcrossing.

[gracefulspoon via woostercollective]


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fresco di stampa


Lo so che a non sentire gli odori (o quasi) come capita a me ci si perde alcune gioie della vita. Per esempio quella di annusare un libro appena stampato.
Per voi fortunati bibliomani possessori di olfatto, c'è chi ha pensato un apposito profumo. "Paper Passion" sa di copie appena uscite dalla tipografia e costa 85 euro alla boccetta.

[steid via inkiostro]

mercoledì 8 agosto 2012

electricity so fine...

Noi Joe Jackson lo si conosceva già, dopo tre album e un EP dove faceva (bene) la sua musica era uscito nel 1981 con "Jumpin' Jive" un sentito e divertito omaggio al repertorio anni '40 di gente come Cab Calloway. A Radio Popolare, qui a Milano, "Jumpin' Jive" era andato forte.

E l'anno dopo Joe Jackson fa il botto con "Night and Day" che resta a tutt'oggi il suo album più venduto, così come il suo singolo di maggior successo rimane "Steppin' Out" che poi è il primo estratto da quel disco.

Joe Jackson – Steppin' Out (Night and Day, 1982)

martedì 7 agosto 2012

da vicino...

Cena da un’amica. C’è anche una tipa sulla quarantina, esuberante, ex ricca. Ora invece è sfruttata e sottopagata in uno studio di avvocati, più che altro la fanno rispondere al telefono, straordinari obbligatori, niente pausa pranzo, se ne lamenta senza spocchia, non da nobile decaduta, ma da donna che fa fatica. Vive da sola col cagnolino, a parecchi chilometri dal lavoro e, in effetti, le sue giornate devono essere proprio faticose, tutte.
Tipa strana, che ancora deve fare i conti con la ricchezza a cui, da un po’ di anni, ha dovuto rinunciare. Lei che era abituata a scarpe da 500 euro al paio, racconta che ha appena comperato dai cinesi i pantaloni che ha addosso, li ha pagati solo qualche euro ed è preoccupata. È preoccupata perché “chissà con che cosa gli hanno tinti”, sostanzialmente ha paura che siano pantaloni velenosi.
Poi però salta fuori che, tra le tante cose, lei ha un passato da palestrata dura, all’epoca aveva un fidanzato più impallinato di lei. Parla di quei tempi con nostalgia: ore di attività tutti i giorni per entrambi e poi si facevano di steroidi per bovini, roba importata illegalmente dalla Turchia. Lui adesso per colpa di quelle iniezioni è cardiopatico e lei, dopo anni, ha ancora il fegato scassato. Però con chissà cosa hanno tinto quei pantaloni.

Non mi è simpatica, anzi, ma è strana, un nodo di contraddizioni a suo modo affascinante. Nel corso della serata a chiacchiera, non so come, salta fuori del mio andare in galera e quello che faccio lì, giusto due battute. E lei, parlando di carcere, ha le idee chiare: «se hai ucciso qualcuno devi restare in prigione per sempre, perché mai la società dovrebbe darti una seconda possibilità? È già così difficile per noi normali».

Ecco, questa frase così superficiale, miope ed egoista, mi ha intenerito. È quel “noi normali” che mi ha intenerito, che quasi avevo voglia di abbracciarla.
Perché io penso ci voglia autentico candore per pensare che esistano i “normali” di cui facciamo parte noi e poi, fuori da quel noi, ci sono gli assassini. Per me è un pensiero da una che è riuscita a rimanere bambina, a suo modo.

E mi è venuta in mente a una rassegna estiva che, da sempre, si tiene qui a Milano all’exOP Paolo Pini (dove exOP sta per “ex ospedale psichiatrico”) la rassegna (che quest’anno è appena finita) riprendendo le parole di Basaglia, s’intitola “Da vicino nessuno è normale”, una frase che io ho sempre trovato bellissima e incontestabile.

Ma insomma che quella tipa lì, con tutta la sua fatica di oggi, le cose assurde fatte in passato, le idee bislacche riguardo a vestiti e accessori (è tuttora sinceramente convinta che una scarpa da 500 euro sia più conveniente di una da 8: “perché dura molto di più”) riesca ancora a pensare in termini di “noi normali”, mettendosi dentro, certo, ma mettendo dentro anche me e gli altri presenti alla cena (tutti individui discretamente scombinati, fidatevi) mi ha fatto venire voglia di abbracciarla.

Poi non l’ho abbracciata, nonostante non sia più una palestrata dura, mi è parsa piuttosto in forma. Se avesse frainteso il gesto, a stendermi ci avrebbe messo un attimo.

lunedì 6 agosto 2012

da da da

È da qualche tempo che, così per caso, mi salta fuori il 1982.

Mi salta fuori parlandone, mi salta fuori pensandoci, mi salta fuori leggendone. E visto le che io credo che le coincidenze vadano celebrate (e che il 1982 fu per me un anno cardine per più di una ragione) penso che ogni tanto posterò qui qualche musichina del 1982. Tra quelle che ascoltavo e si ascoltavano all'epoca.

Il 1982 fu anno pescoso per le "one hit wonder" e una delle più fragorose e ossessive di quell'anno, qui in europa, fu una canzone tedesca che era il trionfo del minimalismo. Pura arte contemporanea. Il gruppo era un trio: voce, chitarra e batteria, e il nome del gruppo era: "Trio".
Tutta la grafica dei dischi era quanto di più elementare si potesse concepire e il loro solo, unico, vero successo fu una canzone fatta di nulla. Fatta fare alla tastierina casio vl-1 e al suo ritmo preconfezionato "rock 1" (me lo ricordo bene il vl-1, lo aveva il mio amico carlo e me l'ero anche fatto prestare, ti dava l'impressione che anche un cane come te avrebbe potuto fare della musica, volendo).

Trio – Da da da (1982)

Ah, quell'anno lì l'italia vinse i campionati mondiali di calcio in spagna, lestamente qualcuno pensò di miscelare il tormentone musicale del momento con l'euforia da "compioni del mondo!", ne venne fuori questa cosa. Io ho sempre preferito la versione originale, però.

immagini che mi riempiono gli occhi questi giorni

Sto ancora lavorando. Sto ancora lavorando parecchio, che ho una sceneggiatura da finire di rivedere (con disegnatori fermi che aspettano) e una da finire di scrivere (che così la metto a riposare per rileggermela dopo una decina di giorni, per una volta che c'è il tempo di farlo).

Quindi, d'altro scrivo poco (anche qui), giro poco il web, leggo poco. Guardo giusto qualche figura. E così metto qui in fila qualche figura di quelle che mi riempiono gli occhi in questi giorni.

I fratelli Hernandez nel 1982 [fonte]
A settembre Love & Rockets compie 30 anni, qualcuno si sta portando avanti.
Io non è che oggi ce la faccio a dirvi quanto è stato bello e importante Love & Rockets e quanto ancora apprezzi il lavoro di Beto e Jaime, però vederli così, nel 1982, mi ha intenerito (vogliamo parlare del taglio di Jaime e della tinta di Beto? No, non vogliamo parlarne).

Nico e Andy Warhol nei panni di Batman e Robin [fonte]
Su questa non è che ho da dire qualcosa, mi mette allegria, punto.

Sulle prossime quattro invece un paio di cose si possono dire. In questo momento è in corso a Kassel Documenta 13 tredicesima edizione di una delle più importanti manifestazioni di arte contemporanea, una specie di biennale che però si tiene ogni cinque anni, ché si vede che ai tedeschi le cose piace organizzarle bene. Alcuni blog che seguo ne hanno parlato, hanno mostrato immagini. Il post che mi ha più impressionato è forse questo pubblicato martedì scorso da socks-studio che racconta del lavoro di Mariam  Ghani “A Brief History of Collapses” un lavoro in video che mette a confronto due imponenti edifici devastati dalla guerra: il Fridericianum di Kassel, uno dei più vecchi musei d'Europa, visto nel 1943 e il palazzo Darul Aman di Kabul, visto nel 2010 (ma da allora non è cambiato).


E infine qualcosa di più allegro. 
Avete presente Holi
La festa indù dei colori?
Dai, ogni tanto nell'internet se ne vedono foto e filmati, hai capito quale?

Vabbe', qualcuno ha pensato d'importarla anche nello Utah... lo Utah?! Ma quelli non erano mormoni? Cosa c'entrano cogli indù?

Guardo sulla wiki: «Quasi il 60% della popolazione appartiene alla Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni. Il restante 40% è così suddiviso: protestanti 15% (episcopali 3%, battisti 2%, altri 10%), cattolici 6%, altre religioni 1%, atei e agnostici 18%» insomma gli indù sono presenti come lo stronzio in certe acque minerali: "tracce". 
Ma nello Utah la festa dei colori piace uguale, d'altronde è straordinariamente fotogenica, non c'è che dire (qui via Ektopia). 


Ah, poi, che mi ossessiona in questi giorni, ci sarebbe anche la fotografia di un opossum morto e vestito da sposa, tenuto in braccio da una bimba tutta sorridente e orgogliosa, ma di quella foto magari ne riparlo in un altro post...