Si potrebbe iniziare così a raccontare la storia su mister Thor, l’abitante più conosciuto, invidiato ma, pure più criticato e anche odiato di Cepletischetis.
Più conosciuto perché fornisce agli abitanti tutto ciò di cui hanno bisogno. Più invidiato perché il suo conto in banca è molto cospicuo e, conseguentemente, man mano che il gruzzolo cresceva, diventava il più criticato e odiato per l’avarizia che spesso invade il carattere di persone che si arricchiscono con il sudore della loro fronte.
I cosiddetti “self made man” che sono partiti dalla strada (cosa che per Thor è da prendere alla lettera) tendono facilmente, dopo un accumulo di ricchezza, a non vedere che anche in quest’attività è necessario porsi dei limiti. Per loro, purtroppo, spesso non esistono confini e il nostro Thor non ha fatto eccezione alla “quasi di regola”.
A quanto mi è stato riferito, suo papà, dietro una bancarella, vendeva frutta e verdura, attività che il figlio appena adulto ha ereditato. Il carattere agitato frenetico, ha fatto sì che spendesse tutta l’energia disponibile in un ventenne per ingrandire l’azienda. Suo padre non aveva molte ambizioni, Thor invece sì. Certo ai tempi di suo padre anche i bisogni degli abitanti erano limitati: il convento era ancora solo un convento e le suore, da brave, coltivavano da sé la loro frutta e verdura, tenevano capre per il latte e maiali per la carne.
Nell’epoca dell’ascesa di Thor le persone cominciarono a sentire desideri nuovi e la sua anima imprenditoriale capì che bastava raggruppare questi desideri e raggiungere il continente per acquistare agli altri insulari ciò di cui avevano bisogno o che poteva dilettare loro il cuore e l’anima per rendere così (con un piccolo sovrapprezzo per il trasporto) felici le persone, e cosa più importante, il suo portafoglio. Arrivarono televisori, frigoriferi, parabole, elettrodomestici di ogni genere, per non parlare di vestiti e gioielli, tutte cose di cui ormai nessuno poteva fare a meno.
I primi guadagni Thor li spese in una barca grande, sicura e veloce, e l’avanti e indietro della sua imbarcazione diventò per anni la sua occupazione preferita, tanto da dimenticarsi non solo del suo aspetto, ma anche di quello della sua casa. Girava vestito sempre con una tuta grigia, capelli arruffati e anche per un bagno sembrava gli mancasse il tempo a causa del suo ritmo frenetico di lavoro.
Poco ci volle per lui (perché nei suoi occhi giravano i dollari come a Paperon de’ Paperoni) a capire che la sua barca era sì grande a sufficienza per “importare” materiale da costruzione, armadi, cucine intere e non so dire cos’altro ancora, ma per certe consegne urgenti (e quindi a cui sarebbe stato applicabile un ulteriore sovrapprezzo) non era veloce abbastanza.
Fatto sta che un bel giorno sopra l’isola si sentì un rumore assordante e poco dopo atterrò un elicottero. Poiché Thor non era di troppe parole, se non si trattava di discutere d’affari, nessuno seppe né del brevetto preso e quindi dell’arrivo del velivolo.
Gli isolani da un lato gli dovevano esser grati perché si occupava di merci che la maggior parte di loro non era in grado di caricare sulla propria barca ma, d’altro canto, se già prima la convivenza era difficile con questa persona, taciturna e burbera e che non potevano evitare perché possedeva il monopolio delle vendite, a quel punto le voci si fecero ancor più aspre nei suoi confronti.
Tutti temevano per la tranquillità dell’isoletta, già messa alla prova dalla trasformazione del convento in un centro di “meditazione” con il conseguente arrivo di stranieri curiosi, che portavano i loro soldi alle monache (e a Thor) ma non alla popolazione indigena, che aveva ben pochi profitti da questo cambiamento. E dopo l’arrivo dell’elicottero tutto il paese decise che, in qualche modo, l’ingordigia di Thor era stata l’inizio di tutto il male presente, per non parlare di ciò che sarebbe diventata l’isoletta nel tempo.
Un’unica soddisfazione però accomunava tutti i paesani e fece sì che mantenessero un certo distacco da tutta questa agitazione: Thor ormai aveva passato i quaranta e ancora non aveva trovato moglie.
“Mah, chi si prende uno che gira come un barbone? E magari la povera sposa non avrebbe altro compito che lavorare per ammucchiare altri soldi, senza nemmeno potersi togliere qualche sfizio ogni tanto!”
Sì, il povero Thor era solo come un cane, anzi, la maggior parte dei cagnolini hanno un padroncino, quindi il paragone non calza. Il povero Thor per soddisfare il suo bisogno d’amore, no anche questo non calza, perché il suo unico vero amore portava il nome di “soldi”. Insomma per soddisfare il suo bisogno, ogni fine settimana, indossando l’unico completo in suo possesso, partiva con la sua barca dove poi, volente o nolente, svuotava il taschino (e non solo) presso qualche signorina a pagamento.
Questo gli isolani lo sapevano e ognuno di loro provava rallegramento perché mai sarebbe esistito un piccolo Thor che, chissà, magari avrebbe costruito perfino una pista d’atterraggio per aerei. Con Thor sarebbe finita questa dinastia tenuta in piedi solo per accumulare dimenticando la condivisione.
Volete che vi dica che i soldi non fanno felici o che chi non mette in comune la propria vita rimane una persona sola? Già. E per concludere potrei anche citare Oscar Wilde che disse: “l’ambizione è l’ultimo rifugio del fallito”.
Lucrezia senza altre parole
cepletischetis
– fine (5)
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