Del libro per davvero parlerò in futuro, per ora – e giusto per capirsi – diciamo che nel libro ci sono tanti brevi capitoli, ognuno dedicato a una pietra miliare del fumetto mondiale, almeno secondo la personale visione dell’autore.
Uno dei capitoletti è dedicato a “Nero”, rivista nata nel ’92 con l’intento di recuperare lo spirito del fumetto nero italiano, per l’appunto (Diabolik, Kriminal…).
Qui, l’autore, passa più tempo a raccontarci com’è invecchiato male Diabolik piuttosto che spiegarci bene perché include “Nero” nella sua lista. E io invece penso che avrebbe fatto meglio a spiegarcelo perché per me la sua inclusione è un mistero ed è una scelta difficilmente condivisibile (e lo dice uno che non si è perso un numero di “Nero” e che si è dispiaciuto quando “Nero” cessò prematuramente le sue uscite).
L’autore preferisce parlarci di Diabolik, e a riguardo non è che dica tutte cazzate, però qualcuna – nodale – la dice sì.
“Diabolik vive in un mondo analogico […] Non ha mai acceso un computer. È completamente inconsapevole della rivoluzione digitale. […] Diabolik non teme di essere infettato dalla modernità”.
Si tratta, chiaramente, delle affermazioni di qualcuno che negli ultimi dieci anni ha dato agli albi della serie – se va bene – uno sguardo distratto e men che episodico. Perché le cose non stanno così. È il pregiudizio dell’autore che parla, non l’esperienza.
Diabolik, oggidì, è un esperto informatico e un hacker di prim’ordine. Pur continuando a recuperare informazioni dai canali classici non disdegna l’uso di internet e i suoi lettori l’hanno visto alle prese con le più svariate forme della rivoluzione digitale, dai bonifici via internet ai crimini informatici fino adarrivare alla realtà virtuale.
Non è vero che Diabolik non evolve e non si confronta con l’evoluzione tecnologica del mondo reale, lo fa con modi e tempi tutti suoi, ma lo fa eccome.
Di sicuro si possono fare molte critiche al modo in cui questa trasformazione di Diabolik è avvenuta e avviene, però bisogna prima fare la fatica di leggerselo, Diabolik.
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A questo punto ci si potrà chiedere che senso abbia il titolo di questo post. Dov’è il casino?
Interdonato dice la sua in un libro – nessun problema – io dissento doppiamente (e su “Nero” e su Diabolik) e, per quel che vale, lo dico qui – nessun problema.
Peccato però che Interdonato inserisca tra i migliori fumetti di tutti i tempi (e di tutti i luoghi) una oscura (e per me trascurabile, se si parla di “canone del fumetto”) rivista tra i cui padri c’è il direttore della collana all’interno della quale lo stesso libro di Interdonato viene pubblicato. In parole povere l’autore inserisce tra i più fighi del mondo quello che gli ha permesso di pubblicare il libro. A qualcuno potrebbe sembrare tutto un magna magna.
Altro peccato. Io sto qui a fare le pulci a quanto l’autore dice su Diabolik. Ma, allo stato attuale delle cose, Diabolik è la mia principale fonte di reddito e non perdo occasione per dire quanto io sia contento di lavorare per la casa editrice che mensilmente lo pubblica. In parole povere io critico le critiche mosse a Diabolik e poi si scopre che a me Diabolik paga vitto e bollette. A qualcuno questo potrebbe sembrare tutto un magna magna.
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È qui che volevo arrivare con questo post. A dire quanto il pollaio del fumetto italiano sia un piccolo pollaio. E noi polli che ci stiamo dentro non siamo proprio liberi di scorazzare dove ci pare senza cozzare e inciampare, non ci sono poi tanti posti dove andar a trovar becchime. Molti di noi si conoscono personalmente, scrivere (da qualsiasi parte, libri, riviste, negletti blog) una qualunque critica – negativa o positiva che sia – ci espone, spesso, alla dietrologia di chi ci legge.
Quando ero un autore di Martin Mystère ho partecipato per un po’ alle discussioni del newsgroup it.arti.fumetti. La maggior parte degli interventi li facevo con un nick non riconducibile a me. Non tanto per codardia (beh, forse anche un po’ per codardia), ma soprattutto per evitare che ci si chiedesse cosa ci fosse “sotto” se parlavo male dell’albo di un collega che non mi era piaciuto, per evitare di essere un “personaggio” oltre che un autore, in definitiva per evitare polemiche basate non su cosa dicevo, ma sul fatto che lo dicevo io.
Perché quando il pollaio è un po’ angusto è più facile che i polli si accapiglino.
Detto questo chiunque conosca bene me o Interdonato sa benissimo che sulla nostra onestà intellettuale si può contare ciecamente. Sempre. Altro che magna magna!
(Che poi c’è solo Lorenzo che conosce bene sia me sia Interdonato, ma poi ci sono un sacco di persone che conoscono bene me e altre che conoscono bene Interdonato e ognuna può testimoniare per l’area di sua competenza).
Paolo è sinceramente convinto di tutto ciò che scrive (cazzate incluse) e io non sono certo da meno (parlo delle cazzate, ovviamente).
il pollaio del fumetto italiano è piccolo ma a qualcuno gira anche bene e razzola meglio degli altri
fotogramma da Diabolik film del 1968 di Mario Bava
6 commenti:
ottimo post!
grazie!
ben passato di qui!
(in effetti sono io che di qui passo troppo raramente)
grazie!
ben passato di qui!
(in effetti sono io che di qui passo troppo raramente)
grazie!
ben passato di qui!
(in effetti sono io che di qui passo troppo raramente)
i love diabolikkkk
caro utenete anonimo: per fortuna non sei il solo... il vitto e le mie bollette ringraziano...
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