Lo dico sempre: non esiste
il pubblico di Diabolik, nel senso che non esiste un lettore tipo, ma piuttosto un
arcipelago di gruppi di lettori diversi tra loro e dai gusti, a volte, anche contrastanti.
Non a caso, nell'annuale
sondaggio promosso dai fan del
Diabolik Club, quasi sempre le storie che vengono votate come più piaciute si ritrovano anche tra quelle votate (ovviamente da altri) come piaciute di meno. Ci sono i lettori che amano soprattutto l'azione, quelli che apprezzano le trame intricate, quelli a cui le trame intricate danno il mal di testa, quelli a cui una storia romantica ogni tanto fa proprio piacere e quelli che invece no, di storie romantiche non ne vogliono sentire parlare. Tante isole diverse, tante popolazioni con proprie idee e preferenze.
Uno dei temi su cui c'è maggior dibattito è il sangue.
In questo post parlerò, brevemente, dell'albo in edicola il mese scorso (“Morte in alto mare”
n. 9/2015) spolierando molto poco e della prima storia che ho sceneggiato per Diabolik (“Il diamante nero”
n. 1/2008) *SPOILER*ando invece parecchio. Siete avvisati.
Ma prima, due pillole di storia: all'inizio della sua vita editoriale Diabolik era più feroce, uccideva con leggerezza, anche quando non era necessario. Questa prima fase però durò poco, le sorelle Giussani cominciarono a correggere il tiro già verso la metà degli anni ’60, in coincidenza con l’arrivo della “banda dei K” come la chiamavano loro (Kriminal, Sadik, Satanik, Killing... etc...). Le autrici infatti preferirono non mettersi in competizione sul piano del sangue con gli epigoni nati dal successo di Diabolik e, anzi, temendo che alla lunga i lettori si sarebbero stufati si allontanarono dal taglio da
feuilleton granguignolesco dei primi numeri, cambiando lo strillo sopra la testata da “il fumetto del brivido” a “il giallo a fumetti”.
Da allora altre trasformazioni ci sono state e, progressivamente, Diabolik ha ridotto ancora il numero di omicidi perpetrati. Continua a uccidere ma solo quando è strettamente necessario (e/o quando la vittima è, agli occhi di Eva, Diabolik o dei lettori, una merdaccia d'uomo).
A oggi dobbiamo quindi affrontare un pubblico composto (schematizzando parecchio) o da nostalgici della prima (al massimo della seconda) ora che vorrebbero un Diabolik più sanguinario di quello attuale o da lettori arrivati dopo (un dopo relativo, si parla anche di vent'anni fa e più) che davanti a un Diabolik “troppo cattivo” storcono il naso.
Con questo ho avuto modo di farci i conti già dalla prima sceneggiatura che ho scritto per la serie.
Quella storia ruota attorno a una pietra “maledetta” (il diamante nero che dà il titolo all'albo) che pare proprio portare una jella mortale ai suoi proprietari. E, in effetti, alla coppia di ricconi che ne entra in possesso a inizio albo capita ogni tipo d'incidente (con guardie del corpo morte e ferite e, alla fine, pure con uno dei due che ci rimette le penne). Una delle sfighe avviene al porto di Ghenf: un gruista muore per un infarto e il container che stava spostando, ormai senza controllo, quasi li spiaccica (e, comunque, ammazza uno dei loro guardaspalle).
Un po' prima del finale, però, scopriamo che dietro a tutti quei guai apparentemente dovuti al caso (o alla scalogna che porta il diamante nero, a seconda che si sia superstiziosi o meno) c'era in realtà Diabolik, che perseguiva un suo machiavellico piano. Come d'abitudine, il lettore viene messo a giorno di come sono andate davvero le cose da un lungo spiegone con generoso uso di flashback. Questo un passaggio:
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Disegni di Enzo Faciolo (elaborazione digitale di Paolo Tani) |
Be'... a causa della tavola qui sopra abbiamo ricevuto lamentele (più d'una e parlo anche di lettere cartacee, che costa fatica scriverle e imbucarle) che trovavano sbagliato che Diabolik uccidesse un innocente lavoratore portuale (per l'onesto guardaspalle spiaccitato, invece, neanche una piega).
A questi lettori che si aspettano dal nostro protagonista che uccida solo in modo “giusto” (o quasi) si affiancano quelli (e non son pochi, specie sui social) che ci chiedono un Diabolik più violento e spietato. Insomma è un po' un casino.
Anche per questo scrivere Diabolik (e qui più che scrivere il singolo albo intendo scrivere la serie, i vari soggetti e curare la programmazione) è come decidere un menù che, nei limiti del possibile, deve tenere conto dei tanti gusti dei nostri ospiti. I vari ingredienti (sangue, romanticismo, colpi complessi, Ginko, fughe...) vanno dosati e alternati cercando un punto di equilibrio. Quindi questo vuol dire che in una serie dai margini stretti come Diabolik (le nostre storie sono necessariamente meno varie di quelle di Dylan Dog o di Zagor) dobbiamo lo stesso stare molto attenti alla varietà delle avventure che proponiamo. Il che non è facilissimo e non sempre ci riesce al 100%, per esempio lo scorso albo è stato il terzo consecutivo in cui non appariva Ginko e questo a molti nostri lettori dà fastidio (per fortuna l'ispettore c'è, e con un ruolo importante, nell'albo di ottobre attualmente in edicola, mancherà di nuovo a novembre, farà una comparsata a dicembre e sarà essenziale nella storia di gennaio che, soprattutto, vedrà il ritorno della sua compagna Altea – altro “ingrediente” che ci richiede una particolare attenzione, di Altea però magari ne parlo un'altra volta).
Ma torniamo al sangue. In redazione probabilmente io sono quello più vicino ai lettori che ce ne chiedono di più e, visto che Diabolik è sempre un lavoro corale più che un “album solista”, questo porta a interessanti dibattiti che mi vedono coinvolto assieme a Mario Gomboli (direttore, editore, capo-soggettista, insomma capo) e Licia Ferraresi (responsabile della revisione delle sceneggiature, soggettista a sua volta, mia capa nel lavoro di editing delle storie). Il fatto di essere dispari è una benedizione. Nei casi più controversi decidere a maggioranza è facile.
Tornando all'albo di ottobre,
“Morte in altro mare”, questa volta non è stato molto controverso il caso su cui abbiamo dibattuto mentre era ancora in fase di soggetto. Soggetto, per l'appunto, di Ferraresi/Gomboli (poi sceneggiato da Diego Cajelli).
Diabolik (a cui girano i coglioni non poco perché un colpo filato liscio come l'olio ha poi avuto un guaio inaspettato) si trova a interrogare un poliziotto a libro paga di una banda di criminali. Il Nostro ha urgentemente bisogno di informazioni sui loro traffici e, essendo Diabolik, riesce a sapere tutto e subito. Saputo quanto vuole, deve muoversi in fretta e non può permettere che il tizio avverta i malviventi che lui è sulle loro tracce. Quindi è ovvio che l'agente corrotto non sopravviverà all'incontro col Re del Terrore.
A noi però restava da decidere se sarebbe stato ucciso a sangue freddo oppure se gli avremmo fatto tentare una reazione disperata (magari tirando fuori una pistola nascosta da qualche parte) a cui Diabolik avrebbe reagito lanciando il suo pugnale.
Da un lato c'è qualche nostro lettore (e pure qualcuno della redazione :) che non ama vedere Diabolik uccidere un uomo disarmato, d'altro canto quell'uomo disarmato era anche un poliziotto corrotto e però – a quanto ne sappiamo – né lui né i malviventi che lo pagano hanno commesso reati cruenti, del resto l'ucciderlo a sangue freddo sarebbe stato perfettamente in linea con il modus operandi di Diabolik. Perché è a noi autori (e a parte dei lettori) che interessa che la vittima uccisa a sangue freddo sia, in qualche modo, una canaglia, per quanto riguarda Diabolik è vero che nel tempo ha ridotto il numero di omicidi ma lo ha fatto solo perché si è reso conto che per lui è più conveniente uccidere solo quando necessario (perché è capitato che certi suoi omicidi “evitabili” gli si siano poi ritorti contro come boomerang sotto forma di parenti vendicativi o altri impicci). Insomma, se Diabolik deve uccidere a freddo un innocente gruista lo fa senza problemi, figuriamoci uno sbirro (venduto o meno che sia).
Be', come dicevo questa volta alla fin fine scegliere non è stato difficile e come ammazzare il poliziotto è stato deciso all'unanimità. Qui sotto potete vedere come ce la siamo cavata.
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Tavola a matita di Angelo Ricci per “Morte in alto mare” |