Recent Posts

venerdì 29 novembre 2013

sylvie e bruno

Avviso: questo è un post molto lungo che parla unicamente di un libro di Lewis Carroll (per di più fuori catalogo).
[Lewis Carroll] fu perseguitato da qualcosa di simile al rimorso, e le lettere testimoniano l'accanimento con cui si impose di dedicarsi, durante molti anni, alla stesura di un nuovo doppio volume per bambini con funzioni quasi di palinodia: “Sylvie e Bruno”, parte prima e seconda, risultato poi un libro schizofrenico e tale da lasciare interdetti i suoi destinatari, allora come oggi.
Così Masolino d'Amico (non proprio l'ultimo pirla visto che è il mio traduttore italiano di riferimento per i due libri di Alice) liquida l'ultima grande opera di Carroll, il suo romanzo più corposo e a cui si dedicò per più tempo (ah, la palinodia è un componimento poetico con cui si ritrattano tesi o idee sostenute in precedenza, sono andato a controllare).


Per quasi vent'anni la stesura di Sylvie e Bruno procede per accumolo di materiale informe e sua successiva organizazione. Carroll si appunta idee, racconti, sogni, frasi e mozziconi di dialogo detti da bambini... Così, lui stesso nella prefazione al primo volume (1889):
Col passare degli anni, di tanto in tanto, venivo annotando una congerie di idee e spezzoni di dialoghi che – chiassà come – mi affioravano nella testa così fugaci e provvisori da non lasciarmi altra scelta che appuntarli subito o relegarli nel dimenticatorio. Si potrebbe anche riuscire a individuare le origini di questi brandelli di pensieri collegandoli alla lettura di un libro o ascrivendoli all'effetto prodotto dall'attrito fra la “pietrina” della nostra mente con l'“acciarino” del casuale accenno di un amico – ma in genere hanno un loro modo d'insorgere – à propos di nulla – esemplari di quel fenomeno irrimediabilemente illogico di “effetto senza causa”. È il caso, ad esempio, dell'ultimo verso di “The Hunting of the Snark” che mi venne in mente […] del tutto all'improvviso, durante una passeggiata solitaria; oppure di sequenze apparse in sogno, che non riesco a collegare a nessuna causa antecente. Vi sono almeno due esempi di tali suggestioni oniriche, in questo libro […]. Fu così che mi ritrovai in possesso di una gran quantità di letto-ratura – se il lettore mi perdonerà l'abuso – che aveva bisogno solo di essere cucita assieme col filo di una trama corente per andare a formare il libro che speravo di scrivere. Solo questo! Ma dapprima l'impresa mi sembrò a dir poco impossibile e mi regalò l'idea molto più chiara di quanto avessi avuto fino allora del significato della parola “caos”; e credo di averci messo dieci anni o più per venire a capo di questi frammenti e capire che tipo di storia suggerissero – perché era la storia che doveva scaturire dagli incidenti, non gli incidenti dalla storia.
La “letto-ratura” della traduzione in originale era “litterature” (con due "t" in luogo di una) ossia “letteratura-rifiuto”, “letteratura-cartaccia-buttata-per-terra”. E tutte queste “cartacce”, tutti questi “incidenti” però Carroll li fa confluire in una narrazione doppia, dall'aspetto molto più tradizionale delle avventure di Alice, dalla cui carica eversiva, secondo D'Amico, Carroll voleva emendarsi.

In “Sylvie e Bruno” ci sono due storie che procedono parallale, una ambiendata nella realtà della Gran Bretagna vittoriana e, accanto, un'altra ambientata nella fantasia del mondo delle fate. Lo sdoppiamento dello Specchio qui opera su un altro piano ma continua a farla da padrone e non a caso, i critici letterari che insistono sulla dualità/contrapposizione di Dodgson/Carroll (Jekyll/Hyde) qui hanno facile gioco nel dire che la parte di romanzo realistico sociale e morale è stata scritta da Charles Dodgson mentre l'altra (zeppa di nonsense, bisiticci di parole, idee sorprendenti e seminali) è ovviamente opera di Lewis Carroll.
Bella immagine, ma che a me non convince, proprio come non mi convince, a monte, chi pone troppa enfasi su questa scissione.

All'uscita delle due parti del romanzo il riscontro di vendite non è  all'altezza delle aspettative di Carroll e anche negli anni a venire la fortuna del testo sarà miserrima se paragonata a quella dei due libri di Alice o anche solo dello Snark. C'è pure chi, per porvi rimedio, prova persino a rieditare il romanzo in mondo da espungere la parte realistico-moralistico-dodgsoniana per dare spazio solo a quella brillante-nonsensical-carrolliana, se ne registrano due tentativi di queste edizioni mozzate, ma nessuno ha lasciato alcun segno.

Doveva passare molto tempo prima che, almeno un poco, il vento girasse. Visto che sono pigro lo dico con le parole di tal Thomas Christensen: 
Raramente il passaparola ci ha messo tanto tempo a operare la sua magia. Come altri, maledetti da uno straordinario successo […], Carroll non avrebbe mai  potuto soddisfare un pubblico che voleva solo un'altra Alice. Per cui, la piccola Alice era diventata centenaria quando cominciò a diffondersi il rispetto per quanto di notevole Carroll aveva prodotto nei due volumi di Sylvie e Bruno. Le traduzioni, parecchio tardive, in francese (1972), spagnolo (1975), e giapponese (1976) [e pure in italiano (1978)] segnalano un nuovo interesse per quest'opera. E con il rinnovato interesse arrivano anche nuovi giudizi: l'illustre critico francese Gilles Deleuze lo definisce «un capolavoro che mostra tecniche completamente nuove rispetto ad Alice e Attraverso lo Specchio».
Già, perché tra gli estimatori di questo ingombrante romanzo (anche gente di un certo qual pregio, tipo James Joyce) il filosofo Gilles Deleuze è uno dei più assidui. Ne parla già in “La logica del senso” nel '69 (ma la mia copia di quel libro è chiusa in chissà quale scatolone e quindi pazienza) e ci torna più volte. Posso citarvi quello che ne scrive nel '93 (giusto un paio d'anni prima di togliersi la vita) in “Critica e Clinica”.
Il terzo grande romanzo di Carroll, Sylvie e Bruno, segna un ulteriore progresso. Si direbbe che l'antica profondità si sia appianata, sia diventata una superficie accanto all'altra. Coesistono quindi due superfici, in cui s'inscrivono due storie contigue, una maggiore e una minore; una in maggiore e una in minore. Non una storia nell'altra, ma una accanto all'altra. Sylvie e Bruno è verosimilmente il primo libro che racconta due storie insieme; non una all'interno dell'altra, ma due storie contigue, con una continua combinazione di passaggi dall'una all'altra, grazie a un frammento di frase comune a entrambe, o alle strofe di una stupenda canzone che distribuiscono gli avvenimenti di ciascuna storia dai quali sono al contempo determinate: la canzone del giardiniere pazzo. Carroll domanda: è la canzone che determina gli avvenimenti o gli avvenimenti la canzone? Con Sylvie e Bruno, Carroll compone un libro a rotolo, alla maniera dei quadri a rotolo giapponesi. (Nel quadro a rotolo, Eisenstein vedeva il vero precursore del montaggio cinematografico, e lo descriveva così: "Il nastro del rotolo si arrotola formando un rettangolo! Non è più il supporto che si arrotola su se stesso; è quel che vi è rappresentato che si arrotola alla sua superficie".) Le storie simultanee di Sylvie e di Bruno formano l'ultimo termine della trilogia di Carroll, capolavoro al pari degli altri due.
Dal canto suo Franco Cordelli, curatore e traduttore dell'unica edizione italiana dell'ultimo romanzo di Carrol (per altro da tempo fuori catalogo), non è da meno.
All'«opposizione», nelle avventure di Alice, tra il primo e il secondo libro segue, in “Sylvie e Bruno”, una identica struttura generale tra inizio e conclusione: ma in questa tanto più complessa e forse tanto più sottile opera della maturità (Carroll la scrisse intorno alla sessantina, e la portò a termine cinque anni prima di morire, nel 1893), in questo testo che non ha eguali nella storia della letteratura e che non esito a definire un capolavoro (criticare, come fanno i francesi anche illuminati, ad esempio Parisot, la sovrabbondanza di discussioni etiche o logiche, sarebbe come criticare in Melville le digressioni sulla baleneria, che sono poi la sostanza del libro, ciò che fanno di “Moby Dick” il contrario del “Vecchio e il mare”, che è come lo zibibbo estratto dal panettone, cioè qualcosa di estremamente stucchevole preso a sé ma di indispensabile nel gran corpo di quel dolce)
Personalmente di questo librone, ricco di dialoghi ma con meno figure di quel che si vorrebbe, ho un ricordo confuso e, nel complesso, non certo pari ai due libri di Alice, ma l'ho letto tanti, troppi, anni fa. Dalla confusione emergono comunque alcuni brani folgoranti, sparsi qua e là, questi sì sicuramente all'altezza del miglior Carroll. Su tutti la canzone del giardiniere matto, di cui qui s'è già detto e di cui presto si tornerà a dire.
Per dare un mio giudizio più articolato dovrei rileggerlo, ma il tempo per quelle quattrocento e passa pagine, no, non mi va di trovarlo, son pigro, l'ho detto. Me la caverò facendo mie le parole di Martin Gardner (altro tipo mica pirla pure lui):
In conclusione come dovremmo valutare questo lungo, complicato, curioso “romanzo di idee”, così ricco di nonsense, giochi linguistici, e riflessione filosofica? La narrativa vittoriana popolare spesso combinava pietà religiosa e sentimentalismo [...] ma è inutile negare che “Sylvie e Bruno”, più di tutti, trasudi sentimentalismo, moraleggiante e melenso, e una dolcezza stucchevole, nelle parole di Miss Berman: “sgradevole come troppo zucchero filato.” Miss Lennon lo definì “il più grande scarabocchio” di Carroll, un “libro terribile”, un libro “di infernale ottusità”. Eppure lei stessa affermò anche: “Che libro! Che nobile rovina!”
Derek Hudson, nel suo “Lewis Carroll: An Illustrated Biography” (1977), lo ha detto benissimo. Sylvie e Bruno è “uno dei fallimenti più interessanti della letteratura inglese. È certamente unico, nessuno oltre a Dodgson avrebbe potuto scriverlo; nulla di simile sarà mai prodotto di nuovo”.

La citazione iniziale di Masolino d'Amico è presa dall'introduzione di “Cara Alice...” raccolta di lettere di Lewis Carroll (Einaudi, 1985).

Il brano dalla prefazione di Carroll è tradotto da Franco Cordelli e viene, ovviamente, da “Sylvie e Bruno” (Garzanti 1978) così come da lì viene il testo di Cordelli che è preso dalla sua “Nota” conclusiva.

Il pezzo di Deleuze è tradotto da Alberto Panaro e l'ho preso da “Critica e Clinica” (Raffaello Cortina Editore, 1996) già che ci sono metto qui l'intero capitoletto dedicato a Lewis Carroll.

Sono mie le traduzioni della citazione di Thomas Christensen che ho preso da qui ossia della prefazione a “Sylvie and Bruno” (Mercury House, 1991) e di quella di Martin Gardner anche questa da una prefazione a “Sylvie and Bruno” (Dover Books, 1988).

Per chi mastica l'inglese su archive.org ci sono varie copie digitalizzate di “Sylvie and Bruno” (per esempio qui) e della seconda parte “Sylvie and Bruno concluded” (per esempio qui).

Sempre su
archive.org c'è anche “The Story of Sylvie and Bruno” (qui) versione spicciamente “amputata” da Edwin Dodgson (fratello minore di Caroll) nel 1904 da cui è stata espunta la storia che si svolge nel mondo reale dalle 800 e passa pagine originali questo libro ne conta 329. Per dire quanto sono fanatico, ho scoperto grazie a questo mio post che nel 1910 (probabilmente ristampata nel 1913 e poi ciao!) è stata fatta una versione ridotta di questa versione ridotta (da 329 a 80 pagine, sempre con le illustrazioni di Furniss) è nota col nome “The Story of Sylvie & Bruno (abridged)” e io non mi capacito che online si trovi poco o niente a riguardo. Non ne parla nessuno, non c'è su archive.org, non ce ne sono copie in vendita su abebooks, non è reperibile in alcuna biblioteca italiana (in svizzera sì) ma soprattutto non ne parla nessuno!  E io non me ne capacito.

La prossima volta che parlerò di Carroll e di “Syvlie e Bruno” sarà di nuovo per via della canzone del Giardiniere matto.

martedì 26 novembre 2013

recto e verso

Quando, nel novembre del 1420, arrivò a Costantinopoli, nessuno in città, né umile né potente, né l'imperatore Manuele né suo figlio Giovanni, a cui la aveva destinata in sposa, l'aveva mai vista. Niente fotografie. Solo ritratti, troppo belli per essere veri. Fra i primi a vederla fu lo svelto Michele Ducas, di professione cronista mondano. Vide mani di bianca finezza, belle braccia e spalle anche più belle, una nuca morbida e elegante, fulvi capelli ricci che parevano una capricciosa ma appropriata aureola dorata e che, sciolti, le arrivavano fino ai piedi. Era alta, molto alta. Una gigantessa ben proporzionata pensò, pensando a quella bambina russa di undici anni, figlia del granduca di Moscovia, che il principe aveva sposato in prime nozze e che una fortunata epidemia di peste si era portata via due anni prima. Vide la principessa voltarsi, e inorridì: tutto era di un'inguardabile bruttezza – irregolare la fronte, grossolano il naso, la bocca insignificante, le sopracciglia sgarbate. «Di dietro è una Pasqua, e davanti una Quaresima», pensò. Pensò che era la migliore conferma di quell'antico detto popolare.
Il brano qua sopra è tratto dal capitoletto intitolato "Sofia di Monferrato, Pasqua di dietro e Quaresima davanti" ed è preso dal libro "Falene" di Eugenio Baroncelli.

Un libro da metrò mancato, "Falene", mancato non certo per il formato (un tascabilissimo Sellerio), né per il contenuto (237 brevissime biografie di persone spesso memorabili). Ma per lo stile del Baroncelli, da certi molto amato e che io trovo inutilmente e pomposamente ellittico. Come a strizzare l'occhio a chi la sa lunga come lui (sarà che non la so quasi mai lunga come lui). Il modello mi pare "Storia universale dell'infamia" di Borges ma qui è tutto più condensato (il che è bene, perché «ciò ch'è breve, se breve è due volte breve» per dirla con Julio Cejador y Frauca) e più snob (il che è male). In più, saltabeccando qua e là, io ho tratto l'impressione che Eugenio Baroncelli si piaccia moltissimo e questo, alla lunga, annoia (almeno a me, perché l'autore, come dicevo, ha i suoi bravi estimatori).

Del detto popolare "Di dietro è una Pasqua, e davanti una Quaresima" io non ho trovato traccia altrove, né nel mio dizionario dei modi di dire che fa bella mostra di sé in quel paio di miei palchetti dedicati ai vocabolari, né – e questo mi stupisce già di più – nella vasta internet (avrò cercato male?).

Però, quel detto, mi ha fatto subito venire in mente un altro passo di un altro libro: "Il senso del tingo" di Adam Jacot de Boinod (tradotto da Marina Sirka Mosur):
I giapponesi hanno una parola specifica per una situazione in cui l'attrazione dura poco: bakkushan è una donna che ti sembra bella finché la vedi da dietro, ma quando si volta....
Insomma è esattamente la stessa cosa.


Avrei voluto illustrare il post con un ritratto di Sofia Paleologa ma niente
ho trovato solo foto di questa indie-band che si chiama "Bakkushan".


Poi c'è da dire che a me il titolo "Sofia di Monferrato, Pasqua di dietro e Quaresima davanti" non mi ha fatto venire in mente solo tomi di linguistica (ancorché frivola). Mi ha fatto subito venire in mente pure un leggendario titolo da film porno "Mio marito davanti, di dietro tutti quanti". E dico leggendario perché in giro, nella vasta internet, il titolo si trova citato spesso, ma del film (dai dati puntuali: anno di produzione, attori, regista fino al film vero e proprio che, in rete, signora mia!, si trova di tutto, dove andremo a finire?...) non ho mai trovato traccia (avrò cercato male?).

domenica 24 novembre 2013

uffa però

È che ci sono giorni che a me viene da dire solamente questo.
Evidentemente, non sono l'unico a pensarla così.

[fonte]
[foto di Diletta Parlangeli]
[foto sempre di Diletta Parlangeli]
[foto di Aldo Calvini Benedetti]
un'altra foto di questa stessa scritta, qui

Ma visto che mi spiace lasciarvi così.. in pensieri bronciosi... vi linko il video di "Happy" singolo di Pharrell Williams tratto dalla colonna sonora di "Cattivissimo Me 2" il video dura 24 ore.

24 ore di gente che se la balla contenta sulle note di una canzoncina piacevole (coi coretti che, a me, ricordano Donald Fagen e già questo è bello). Io, che con le canzonette sono ossessivo anche quando son di buonumore, me la sto ascoltando da un'oretta. Ogni tanto ci torno sopra per vedere chi sta ballando e come se la cava e poi torno a (non) fare le mie cose tenendomela in sottofondo.

Voi fare un po' come vi pare, ma se volete vedere un pezzetto del video musicale più lungo della storia dei videoclip lo trovate QUI.

sabato 23 novembre 2013

l'assegnazione delle idee

Facebook non mi piace (l'ho detto?) però – un poco – dipende anche chi frequenti e a cosa poni attenzione quando sei su facebook. Ieri l'altro leggo questo aggiornamento di stato di un amico mio
Siccome la modestia non è carattere precipuo degli scrittori italiani odierni, mi piace riportare questa uscita di Stefano Amato, questa sera a Milano nel presentare il suo romanzo «Il 49° stato», Transeuropa/Feltrinelli, 14 euro:

"L'idea del romanzo era così buona che è un peccato che non l'abbia avuta qualche scrittore più bravo di me".

(La verità è che questo giovane è troppo modesto).
Ecco, l'immagine dell'idea di un romanzo che possa arrivare quasi indifferentemente all'autore Tizio, invece che all'autore Caio (in una sorta di lotteria) la trovo avvincente. L'indomani – in una qualche maniera – me la ritrovo dentro il mio attuale libro da metrò (da queste parti bisogna proprio tornare a parlare di libri da metrò).
[...] ogni film avrebbe potuto prendere una strada diversa, se nei momenti cruciali non fossero andate in porto certe decisioni altrettanto cruciali. Robert Redford, per esempio, avrebbe voluto interpretare "Il laureato"; gli sceneggiatori di "Gangster Story" avrebbero fatto carte false pur di avere Truffaut alla regia del film, e Warren Beatty, uno dei produttori, vedeva bene Bob Dylan e Shirley MacLaine nei ruoli di Bonnie e Clyde. (Ah, che bello se la letteratura fosse altrettanto interessante. Non so: «Fino all'ultimo momento, l'autore di "Comma 22" avrebbe dovuto essere John Updike, che rinunciò quando, inaspettatamente, gli fu offerto il primo romanzo della serie di Coniglio dopo che l'agente di Saul Bellow non era riuscito a spuntare per il suo cliente le condizioni volute...» E invece i libri, come al solito, si beccano le storie più pallose: «Gli è venuta questa idea. Ha scritto il libro. Poi il libro è stato pubblicato». A chi interessa questa roba?)

da "Shakespeare scriveva per soldi" di Nick Hornby traduzione di Silvia Piraccini.

venerdì 22 novembre 2013

debunking for dummies

A me facebook non piace. Punto.

Ma una cosa gliela devo riconoscere: la progressiva espansione di facebook ha significato una corrispondente diminuzione di catene di sant'antonio cazzare nella mia casella di posta elettronica.
La gente si sfoga condividendo lì ed evita di "farla girare" facendo clic su "manda a tutti i  contatti della rubrica" (magari coi destinatari in chiaro, già che c'è). Non so neanch'io da quanto tempo non me ne arrivano più, ed è un bene perché io, ogni volta, rispondevo a tutti spiegando perché l'appello era falso o, comunque, perché era sbagliato farlo girare. E, immancabilmente, facevo la figura della maestrina pedante...

Adesso però facebook, un poco, lo frequento... e quindi mi ritrovo di nuovo esposto alle bufale. E si ricomincia.

Ieri, una mia amica, una vispa, ma che evidentemente era sovrappensiero, mette un piace a un articolo che quindi finisce dritto dritto nella mia home, l'articolo recita così:
(19 Novembre 2013) Adesso il pericolo cancro viene anche dai prodotti di bellezza. Ognuno di noi, infatti, cerca di curare al meglio possibile i propri capelli e per questo motivo tende ad acquistare prodotti di marche abbastanza conosciute perché crede siano garanzia di qualità. Ma non è sempre così. Diverse aziende infatti, con sede in tutta Italia, e precisamente Bologna, Roma, Napoli e Pisa importavano shampoo dal Brasile per poi rivenderlo in tutto il territorio nazionale come proprio. Peccato che questi shampoo contenessero un elevatissimo contenuto di formaldeide, sostanza tossica in grado di causare problemi cancerogeni, in alcune di queste marche la percentuale di formaldeide superava di 35 volte il valore consentito dalla legge. Una scoperta che ha portato, qualche giorno fa, al sequestro di più di 20mila tonnellate di prodotti, ritirati dal mercato italiano.
Ecco tutti i nomi e le marche:
[...]
Segue l'elenco di una barcata di prodotti. L'articolo è sul sito vivimazzara.com ("Notizie da Trapani, Marsala, Mazara del Vallo e Castelvetrano") ma cita come fonte: "Retenews24" che fa tanto RaiNews24 ma proprio non lo è.

La prima cosa che dovrebbe far suonare un campanello di allarme è la totale genericità della notizia "diverse aziende" quali? Sequestrati i prodotti dove? E da parte di chi? NAS? Guardia di finanza? Digos?... Mah...

La seconda cosa che dovrebbe, definitivamente, far suonare (a martello) le campane d'allarme è uno dei pochi dati forniti: 20 mila tonnellate di prodotti sequestrati. Eh?! VENTI MILIONI di chili di shampo alla formaldeide?! Cercando un po' in giro la notizia si trova riportata con tonnellaggi minori (500 tonnellate) ma anche maggiori (QUI 500 mila tonnellate! Bingo!)

Quindi la lezione di oggi del nostro corso "anche tu debunker" è: guardare i dati! Se non ce ne sono, diffidare. Se ce ne sono del tutto implausibili, diffidare parecchio.

Poi basta rivolgersi con fiducia a google, per esempio cercando i nomi degli shampi presenti nell'elenco (vi piace il plurale "shampi"? a me sì) e dopo poco si trova (per esempio QUI) la notizia originale che ha generato la bufala e si scopre che è vecchia, dello scorso aprile, e che i prodotti sequestrati ammontavano a 31 mila pezzi.

Che poi, se fosse vero l'articolo a cui ha messo il like l'amica mia, un solo flacone di quello shampo sequestrato dovrebbe pesare, in media, poco più di 645 chili!

Alla faccia della confezione risparmio.

[fonte dell'immagine]

martedì 19 novembre 2013

scrivere in versi

Ieri ho dovuto scrivere una scena in cui una donna adulta scoppia a piangere.

Ci sono volte in cui invidio chi scrive Topolino. In pratica tutte le volte che in Diabolik ho problemi con le onomatopee.

Fate piangere un personaggio disney: BWAAAAAA! SOB! SIGH! e infine SNIF...

Fate piangere un personaggio di Diabolik, se ha meno di un anno, ok: UEEEE! ma se ne ha trentacinque?

Sì, ci sono volte in cui invidio, decisamente, chi scrive Topolino.


lunedì 18 novembre 2013

applausi, di gente intorno a me


Steve Reich, in questi giorni mi ha fatto un po' di compagnia, merito (o colpa) di marco (nei commenti del post prima di questo).

La canzone di Shirley Ellis l'avevo usata per inaugurare la mia breve carriera di utente di lifelogger.com e in quell'occasione avevo detto la mia sul suo testo dispotico e demenziale.

Il titolo del post è, naturalmente, il primo verso di un successo del 1968 dei Camaleonti.

Buona settimana!

sabato 16 novembre 2013

l'edonista infelice

Ha fatto il pianista e il batterista per dieci anni adesso, quando si esibisce dal vivo, rigorosamente da solo, gli basta una loop station e qualche microfono (e ha cominciato anche lui con le esibizioni per strada, un po' come Dub FX). Hyperpotamus è spagnolo, madrileno, anche se, mi pare di capire, si è trasferito a Londra già prima dell'uscita del suo secondo album (che è del gennaio 2012). Il pezzo qua sotto viene dal suo esordio discografico, autoprodotto.

Buon fine settimana!

Hyperpotamus – The Unhappy Hedonist 
(Largo Bailón, 2009)
 

giovedì 14 novembre 2013

scusi ho sbagliato numero

Mentre quattrozerotre dormiva ho cambiato automobile e, per l'occasione, ho pensato di cambiare pure assicurazione facendo una polizza online (ne ho parlato nei post di ieri e ier l'altro).

io – Buongiorno, come dicevo al suo collega vi ho mandato un fax in cui vi autorizzo l'addebito su un numero sbagliato di carta di credito. Se mi dice come faccio a farvi avere la correzione immagino che si possa finalmente far partire la mia assicurazione.

lui – Sì, un attimo, mi faccia controllare...

lui – ...

lui – Ok, è tutto a posto, la vecchia polizza da cui prende la classe di merito è ancora in corso, giusto?

io – Eh, no... lo era quando ho cominciato questa odissea con voi, ma nel frattempo è scaduta.

lui – ... e allora mi spiace ma non può usufruire della legge Bernsani, devo metterla in classe quattordicesima. Il premio annuo a pagare diventa... aspetti un attimo... ecco: millemila fantastiliardi di euro.

io – Ma a questo punto mi conviene restare con la mia vecchia assicurazione, lì sono in classe terza.

lui – Sicuramente sì.

io – Beh... allora... come non detto, grazie.

lui – Ecco, però dovrebbe fare ancora una cosa...

io – Cioè?

lui – Dovrebbe mandare un fax al nostro ufficio preposto in cui annulla l'autorizzazione al prelievo dalla carta di credito. Ma, mi raccomando, deve scrivere il numero sbagliato che c'era nel primo fax che ci ha mandato, non il suo vero numero di carta.

io – Mi scusi, mi faccia capire, io non ho stipulato la polizza per cui vi ho mandato l'autorizzazione a prelevare dalla mia carta di credito e quindi voi NON DOVETE prelevare nulla. In ogni caso quella non è la mia carta perché ho sbagliato a darvi il numero e quindi voi NON POTETE prelevare nulla. E devo mandarvi lo stesso un fax in cui vi revoco l'autorizzazione a prendere dei soldi da una carta di credito che comunque non è la mia?

lui – Sì, è così...

io – Va bene, ma devo avvisarla che questo tipo di pratiche io le evado tassativamente entro due giorni lavorativi, quindi non ho la più pallida idea se e quando manderò il fax.

lui – Eh?...

io – Arrivederci.

mercoledì 13 novembre 2013

disturbo dissociativo dell'identità

Nei mesi scorsi ho cambiato la macchina e ho pensato di fare l'RC auto online, ne accennavo nel post di ieri.

io – Buongiorno, aspettavo il talloncino dell'assicurazione via mail al più tardi per ieri l'altro ma, in effetti, ho controllato e ho scoperto di avervi faxato il numero di carta di credito sbagliato. Però potevate avvertire...

lui – Mi faccia controllare... In realtà la pratica è ferma per un altro motivo: manca un documento.

io – Quale? Ho appena controllato e mi pare ci siano tutti.

lui – Manca la dichiarazione che lei e la persona da cui riceve la classe di merito della polizza precedente siete conviventi...

io – ...

lui – Pronto?...

io – Guardi, c'è stato un equivoco, se controlla il modulo io non ho barrato che ricevo la classe CU da un parente convivente, la ricevo da una polizza relativa a una mia auto che ho rottamato. Come vi ho scritto, sono IO la persona da cui ricevo la classe di merito.

lui – Non importa, deve comunque compilare il modulo di autocertificazione...

io – Mi scusi, mi faccia capire, io devo compilare un modulo in cui affermo di essere CONVIVENTE CON ME STESSO?!

lui – Sì.

io – Ossia: io devo autocertificare che io vivo nello stesso posto in cui io vivo?

lui – Le ho già risposto, sì.

io – Grazie.

Domani la conclusione di questa epopea.

martedì 12 novembre 2013

2 + 2 = 5

Mentre quattrozerotre era a nanna ho cambiato automobile.

io – Buongiorno, giovedì mattina ho compilato i moduli online per accendere una polizza auto con voi e vi ho mandato il fax coi documenti richiesti. Poi non ne ho saputo più nulla.

lui – Mi faccia controllare... Sì, l'abbiamo presa in carico giovedì mattina, queste pratiche le evadiamo tassativamente entro due giorni lavorativi, quindi domani le spediamo via mail il talloncino provvisorio.

io – Mi scusi, ma oggi è lunedì, domani saremmo ben oltre i due giorni lavorativi.

lui – Ora le spiego: per noi venerdì conta solo mezza giornata...

io – Capisco, ma anche non contanto né venerdì pomeriggio né giovedì mattina, i due giorni lavorativi scadono oggi, non domani.

lui – Sì, sì, certo, è anche possibile che la sua pratica venga chiusa oggi...

io – Ma non è sicuro.

lui – No.

io –   Ma lì avete fatto tutti un corso di bistromatica?

lui – Mi scusi? No... Non credo...

io – No, niente, mi pareva...

Dal mio tentativo di fare l'RC auto con un'assicurazione online ci tiro fuori altri due post. Quello meglio capita domani.

lunedì 11 novembre 2013

il signor K.


Uno degli effetti collaterali del mio frequentare Facebook è che adesso ricevo le notifiche di Cronaca Vera (storico settimanale che prima comperavo solo se dovevo fare un viaggio in treno, un rito che ho da sempre).

Oggi, grazie a loro, apprendo un fatto di cronaca (che è riportato anche da tutta la stampa locale e non, negli stessi termini, quindi non è uno degli scoop "esclusivi" del settimanale) che vede protagonista un 24enne marocchino di Vittorio Veneto provincia di Treviso assolto dall'accusa di violenza sessuale nei confronti della suocera, il ragazzo in questione viene citato dai giornali come: Nourredine K.

Naturalmente il cognome è omesso per rispettarne la privacy... ma... ehm... secondo voi quanti Nourredine K. ci saranno a Vittorio Veneto, provincia di Treviso?

Questa cosa me ne ha fatte venire in mente altre due:

1. La "crociata contro l’ipocrita espediente dei rettangolini neri" realizzata da Qualcosa-del-genere ai gloriosi tempi di splinder che aveva uno spassoso badge animato (con una serie di foto di persone note riconoscibilissime, nonostante il rettangolino) che avrei messo volentieri a illustrazione del presente post e però ormai sarà andato perso con lo tsunami che ha cancellato tutta la splindersfera.

2. Una da un pezzo di Woody Allen tratto da "Antologia dei taccuini di Allen": «Dovrei sposare W.? No, se non mi dirà le altre lettere del suo nome.»

Tutto qui...

È che oggi ho un sacco da lavorare e allora uno le pensa tutte per rimandare di altri dieci minuti.

venerdì 8 novembre 2013

tre universi

Tra le tante cose successe mentre questo blog era a nanna c'è stata l'uscita del numero ottocento di Diabolik. Sceneggiato da me. Per quella storia ho scritto un "dietro le quinte" pubblicato sulla pagina facebook (qui e qui) e sul sito di Diabolik (qui, in pdf). Copincollo da lì:
Durante il furto ai danni di Van Groot, parlando alla radio con Eva, davanti al guardiano legato e imbavagliato, Diabolik deve far credere che in quel momento sono due i ladri che stanno mettendo a segno il colpo. Dovendo dare un nome a queste due persone che, in realtà, erano una sola mi è venuta in mente una bella copertine della collana fantascientifica “Urania” e precisamente quella del romanzo “Universo” (“Urania 378” del 1965) di Robert A. Heinlein. Lì c'è un mutante a due teste che gioca a scacchi da solo e le due teste sono quelle di Joe e Jim Gregoy, nomi di battesimo che ho dato anche ai due ladri immaginari interpretati da Diabolik.

Joe-Jim Gregory è una mia vecchia ossessione, e non tanto per via del romanzo (che pure ricordo con affetto) quanto piuttosto per via dello splendido ritratto che ne ha fatto Karel Thole su quella copertina.

Sempre mentre 403 sonnecchiava mi sono comperato il volume Lizard, uscito ad aprile scorso, che raccoglie le tre storie di "Roy Mann" di Sclavi/Micheluzzi. La prefazione (del mio amico Spari) si apre con questa citazione:
Se ci sono infiniti universi allora devono esistere tutte le possibili combinazioni, quindi, in un certo senso, in un posto o nell'altro tutto deve essere vero. Voglio dire che scrivere un racconto di finzione deve essere impossibile, perché, per strane che possano sembrare le cose raccontate, possono in realtà verificarsi altrove.
(Fredric Brown, Assurdo universo)
Da ragazzo la lettura di "Assurdo universo" fu per me (e immagino per molti) una rivelazione, qualcosa che avrebbe lasciato un segno duraturo. Uno degli ultimi soggetti per Martin Mystère che pensai prima di passare a occuparmi d'altro – e che quindi non ebbe seguito – traeva (vaga) ispirazione dal romanzo di Brown e (più puntuale) dalla "bibbia" di Martin Mystère, ossia da quell'insieme di regole da rispettare proponendo un soggetto per la serie e il mio proposito era di infrangerne il maggior numero possibile (ché se ne infrangi una è un errore, ma se le infrangi tutte è virtuosismo).

Pensando a questi due "universi" che hanno contato nella mia giovinezza me n'è venuto subito in mente un terzo, che ha lasciato un segno ancor più nitido e duraturo di Brown. Quell'universo lo incontrai non in un romanzo ma in un racconto. Comincia così:
L'universo (che altri chiamano la Biblioteca) si compone di un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente. La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venticinque vasti scaffali, in numero di cinque per lato, coprono tutti i lati meno uno; la loro altezza, che è quella stessa di ciascun piano, non supera di molto quella di una biblioteca normale. Il lato libero dà su un angusto corridoio che porta a un'altra galleria, identica alla prima e a tutte.
Così come tutti gli universi di Fredric Brown anche tutti i libri della Biblioteca di Babele di Borges hanno la caratteristica di esaurire ogni possibilità del reale. A questa somiglianza non avevo mai pensato.

mercoledì 6 novembre 2013

parole dentro

Nella mia pluriennale frequentazione carceraria ho imparato che ci sono delle parole, soprattutto di burocratese carcerario, che esistono solo dentro le quattro mura della prigione.

Provo a metterle in fila nell'ordine in cui le ho imparate (ma magari qualcuna mi sfugge).

Sconsegna – È il permesso che consente al detenuto di uscire dal proprio reparto. Grazie a quel foglio, verde, in genere ripiegato e messo in una bustina trasparente di plastica appesa al collo con un cordino, il detenuto non è più "consegnato" al reparto e quindi può allontanarvisi.

Concellino – Compagno di cella. "Scusa ma sono le cinque, devo salire che, coi concellini, dobbiamo decidere la cena di stasera".

Permessante – Detenuto in permesso.

Liberante – Il detenuto nel giorno della sua uscita dal carcere. Scarcerato perché a fine pena o, più frequentemente, perché accede a misure alternative alla detenzione.

Giovedì scorso la mia detenuta era liberante.

A tutti gli effetti non esiste più una mia detenuta, da settimana scorsa c'è solo una mia amica.


senza passare dal via (21)

lunedì 4 novembre 2013

il giardiniere matto

In questo post c'è un regalo che è stato fatto a quattrocentrotré (e a me) poco prima della sua chiusura. Un regalo che quindi ha dovuto aspettare mesi e mesi perché io poi lo facessi a voi. Avrei potuto usarlo come post di commiato prima della pausa, ma volete mettere la gioia di riaprire il blog con una traduzione inedita da Lewis Carroll? Per di più di una sua poesia, ottima, di cui esistono pochissime traduzioni italiane (questa è la terza completa di cui sono a conoscenza).

Sono i vantaggi dell'avere un amico traduttore (nonché esperto di jazz).

Prossimamente dirò meglio del romanzo da cui è tratta e poi farò pure un post in cui proporrò una visione sinottica delle traduzioni italiane (un po' come questo). Per oggi godiamoci il testo senza altri fronzoli, orpelli o ammennicoli.

Grazie Marco!

La canzone del giardiniere matto
di Lewis Carroll da "Sylvie and Bruno" e "Sylvie and Bruno concluded"
traduzione inedita di Marco Bertoli 
 
Gli parve un Elefante
Intento ad una piva.
Ma era di sua moglie
soltanto una missiva.
«La vita! O presto o tardi,
la delusione arriva!»

Gli apparve un gran bisonte
– Bella spavalderia –
sul tetto: era il nipote
del padre di sua zia.
«Fuori di qui», gli ingiunse,
«Chiamo la polizia!»

Gli parve che un serpente
a sonagli, strisciante,
lo interrogasse in greco.
ma era il giovedì entrante.
«Vorrei saper parlare
e dirgliene pur tante!»

Gli parve che da un autobus
scendesse un ragioniere.
Ma era un ippopotamo,
a voler ben vedere.
«Ingordo commensale,
Dovesse mai accadere!»

Gli parve che un canguro
macinasse caffè;
ma no, era maggiorana
compressa in un cachet.
«Se mai io la inghiottissi,
che spasimi, ahimé!»

Gli parve un tiro a quattro
di avere al capezzale:
ma era un orso acefalo
che lo guardava male.
«Povera bestia, aspetta
chi gli dia da mangiare!»

Gli parve, intorno all'abat-jour
svolazzasse un alcione,
ma era un francobollo
con timbro di Lissone.
«Meglio che voli a casa,
si appresta un acquazzone!»

Gli apparve un cancelletto
Con la chiave del sito;
ma era invece un doppio
periodo tripartito.
«Per me non c'è mistero
né arcano – l'ho capito!»

Gli parve un sillogismo
provargli ch'era Papa;
ma era una saponetta
all'aroma di rapa.
«Tali ambizioni è bene
levarsi dalla capa!»

domenica 3 novembre 2013

mentre quattrozerotre dormiva

In questi mesi di sonno del blog mi sono successe parecchie cose. Non tutte scintillanti. Il cancro è tornato a funestare la mia famiglia (ma, almeno per ora, vinciamo noi a mani basse)... Il mio psicoterapeuta è stato accoltellato da un'ex paziente (ma anche lui se l'è cavata, rivedendolo ha liquidato la cosa con un lapidario: "stessero tutti così gli accoltellati!")... La Bonelli ha fatto uscire il primo numero di "Orfani" e mi ha proprio deluso...

Col terapeuta, in questi mesi, ogni tanto, si è parlato pure di 'sto blog, da me così caparbiamente abbandonato e ancora non abbiamo capito bene bene il perché. Nel frattempo però abbiamo stabilito che – oggigiorno –  la gente commenta più volentieri sul facebook che non sui blog (che anche lui un blog ce l'ha).

Capita poi che, per questioni di lavoro (legate alla rifiorita pagina facebook di diabolik), io abbia riesumato un mio vecchio account civetta e adesso frequento l'irritante socialcoso molto più di quanto, in un mondo ideale, non farei (ché in un mondo ideale friendfeed sarebbe ancora un posto abitabile e facebook non se lo calcolerebbe nessuno, ma tocca essere realistici).

Quindi, in un soprassalto di realismo, ho deciso che, a questo punto, tanto valeva dare un'estensione facebook a quattrocentotré, almeno quel tanto che basta per permettervi di commentare colà i post postati coquà.

Non sono stato ad aprire robe nuove, ho preso il mio account civetta (intitolato al mio eteronimo nicholas qzerty) l'ho reso pubblico, ci ho messo il tasto "segui" (qualunque cosa ciò voglia dire) e accetterò l'amicizia di chiunque me lo chieda.
(bleah!)
E dopo questo post di servizio, domani riprende la vera programmazione di 403 e – come cantava Laura Luca a Sanremo '78 – domani vi faccio un regalo.

sabato 2 novembre 2013

bù!

sono tornato
almeno per un po'
sempre solo per un po', dai, lo sappiamo)

e lunedì qui vi faccio un regalo che hanno fatto a me

per oggi basta così, che poi non digerite

[fonte]
ah, buon due novembre a tutti!