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venerdì 29 novembre 2013

sylvie e bruno

Avviso: questo è un post molto lungo che parla unicamente di un libro di Lewis Carroll (per di più fuori catalogo).
[Lewis Carroll] fu perseguitato da qualcosa di simile al rimorso, e le lettere testimoniano l'accanimento con cui si impose di dedicarsi, durante molti anni, alla stesura di un nuovo doppio volume per bambini con funzioni quasi di palinodia: “Sylvie e Bruno”, parte prima e seconda, risultato poi un libro schizofrenico e tale da lasciare interdetti i suoi destinatari, allora come oggi.
Così Masolino d'Amico (non proprio l'ultimo pirla visto che è il mio traduttore italiano di riferimento per i due libri di Alice) liquida l'ultima grande opera di Carroll, il suo romanzo più corposo e a cui si dedicò per più tempo (ah, la palinodia è un componimento poetico con cui si ritrattano tesi o idee sostenute in precedenza, sono andato a controllare).


Per quasi vent'anni la stesura di Sylvie e Bruno procede per accumolo di materiale informe e sua successiva organizazione. Carroll si appunta idee, racconti, sogni, frasi e mozziconi di dialogo detti da bambini... Così, lui stesso nella prefazione al primo volume (1889):
Col passare degli anni, di tanto in tanto, venivo annotando una congerie di idee e spezzoni di dialoghi che – chiassà come – mi affioravano nella testa così fugaci e provvisori da non lasciarmi altra scelta che appuntarli subito o relegarli nel dimenticatorio. Si potrebbe anche riuscire a individuare le origini di questi brandelli di pensieri collegandoli alla lettura di un libro o ascrivendoli all'effetto prodotto dall'attrito fra la “pietrina” della nostra mente con l'“acciarino” del casuale accenno di un amico – ma in genere hanno un loro modo d'insorgere – à propos di nulla – esemplari di quel fenomeno irrimediabilemente illogico di “effetto senza causa”. È il caso, ad esempio, dell'ultimo verso di “The Hunting of the Snark” che mi venne in mente […] del tutto all'improvviso, durante una passeggiata solitaria; oppure di sequenze apparse in sogno, che non riesco a collegare a nessuna causa antecente. Vi sono almeno due esempi di tali suggestioni oniriche, in questo libro […]. Fu così che mi ritrovai in possesso di una gran quantità di letto-ratura – se il lettore mi perdonerà l'abuso – che aveva bisogno solo di essere cucita assieme col filo di una trama corente per andare a formare il libro che speravo di scrivere. Solo questo! Ma dapprima l'impresa mi sembrò a dir poco impossibile e mi regalò l'idea molto più chiara di quanto avessi avuto fino allora del significato della parola “caos”; e credo di averci messo dieci anni o più per venire a capo di questi frammenti e capire che tipo di storia suggerissero – perché era la storia che doveva scaturire dagli incidenti, non gli incidenti dalla storia.
La “letto-ratura” della traduzione in originale era “litterature” (con due "t" in luogo di una) ossia “letteratura-rifiuto”, “letteratura-cartaccia-buttata-per-terra”. E tutte queste “cartacce”, tutti questi “incidenti” però Carroll li fa confluire in una narrazione doppia, dall'aspetto molto più tradizionale delle avventure di Alice, dalla cui carica eversiva, secondo D'Amico, Carroll voleva emendarsi.

In “Sylvie e Bruno” ci sono due storie che procedono parallale, una ambiendata nella realtà della Gran Bretagna vittoriana e, accanto, un'altra ambientata nella fantasia del mondo delle fate. Lo sdoppiamento dello Specchio qui opera su un altro piano ma continua a farla da padrone e non a caso, i critici letterari che insistono sulla dualità/contrapposizione di Dodgson/Carroll (Jekyll/Hyde) qui hanno facile gioco nel dire che la parte di romanzo realistico sociale e morale è stata scritta da Charles Dodgson mentre l'altra (zeppa di nonsense, bisiticci di parole, idee sorprendenti e seminali) è ovviamente opera di Lewis Carroll.
Bella immagine, ma che a me non convince, proprio come non mi convince, a monte, chi pone troppa enfasi su questa scissione.

All'uscita delle due parti del romanzo il riscontro di vendite non è  all'altezza delle aspettative di Carroll e anche negli anni a venire la fortuna del testo sarà miserrima se paragonata a quella dei due libri di Alice o anche solo dello Snark. C'è pure chi, per porvi rimedio, prova persino a rieditare il romanzo in mondo da espungere la parte realistico-moralistico-dodgsoniana per dare spazio solo a quella brillante-nonsensical-carrolliana, se ne registrano due tentativi di queste edizioni mozzate, ma nessuno ha lasciato alcun segno.

Doveva passare molto tempo prima che, almeno un poco, il vento girasse. Visto che sono pigro lo dico con le parole di tal Thomas Christensen: 
Raramente il passaparola ci ha messo tanto tempo a operare la sua magia. Come altri, maledetti da uno straordinario successo […], Carroll non avrebbe mai  potuto soddisfare un pubblico che voleva solo un'altra Alice. Per cui, la piccola Alice era diventata centenaria quando cominciò a diffondersi il rispetto per quanto di notevole Carroll aveva prodotto nei due volumi di Sylvie e Bruno. Le traduzioni, parecchio tardive, in francese (1972), spagnolo (1975), e giapponese (1976) [e pure in italiano (1978)] segnalano un nuovo interesse per quest'opera. E con il rinnovato interesse arrivano anche nuovi giudizi: l'illustre critico francese Gilles Deleuze lo definisce «un capolavoro che mostra tecniche completamente nuove rispetto ad Alice e Attraverso lo Specchio».
Già, perché tra gli estimatori di questo ingombrante romanzo (anche gente di un certo qual pregio, tipo James Joyce) il filosofo Gilles Deleuze è uno dei più assidui. Ne parla già in “La logica del senso” nel '69 (ma la mia copia di quel libro è chiusa in chissà quale scatolone e quindi pazienza) e ci torna più volte. Posso citarvi quello che ne scrive nel '93 (giusto un paio d'anni prima di togliersi la vita) in “Critica e Clinica”.
Il terzo grande romanzo di Carroll, Sylvie e Bruno, segna un ulteriore progresso. Si direbbe che l'antica profondità si sia appianata, sia diventata una superficie accanto all'altra. Coesistono quindi due superfici, in cui s'inscrivono due storie contigue, una maggiore e una minore; una in maggiore e una in minore. Non una storia nell'altra, ma una accanto all'altra. Sylvie e Bruno è verosimilmente il primo libro che racconta due storie insieme; non una all'interno dell'altra, ma due storie contigue, con una continua combinazione di passaggi dall'una all'altra, grazie a un frammento di frase comune a entrambe, o alle strofe di una stupenda canzone che distribuiscono gli avvenimenti di ciascuna storia dai quali sono al contempo determinate: la canzone del giardiniere pazzo. Carroll domanda: è la canzone che determina gli avvenimenti o gli avvenimenti la canzone? Con Sylvie e Bruno, Carroll compone un libro a rotolo, alla maniera dei quadri a rotolo giapponesi. (Nel quadro a rotolo, Eisenstein vedeva il vero precursore del montaggio cinematografico, e lo descriveva così: "Il nastro del rotolo si arrotola formando un rettangolo! Non è più il supporto che si arrotola su se stesso; è quel che vi è rappresentato che si arrotola alla sua superficie".) Le storie simultanee di Sylvie e di Bruno formano l'ultimo termine della trilogia di Carroll, capolavoro al pari degli altri due.
Dal canto suo Franco Cordelli, curatore e traduttore dell'unica edizione italiana dell'ultimo romanzo di Carrol (per altro da tempo fuori catalogo), non è da meno.
All'«opposizione», nelle avventure di Alice, tra il primo e il secondo libro segue, in “Sylvie e Bruno”, una identica struttura generale tra inizio e conclusione: ma in questa tanto più complessa e forse tanto più sottile opera della maturità (Carroll la scrisse intorno alla sessantina, e la portò a termine cinque anni prima di morire, nel 1893), in questo testo che non ha eguali nella storia della letteratura e che non esito a definire un capolavoro (criticare, come fanno i francesi anche illuminati, ad esempio Parisot, la sovrabbondanza di discussioni etiche o logiche, sarebbe come criticare in Melville le digressioni sulla baleneria, che sono poi la sostanza del libro, ciò che fanno di “Moby Dick” il contrario del “Vecchio e il mare”, che è come lo zibibbo estratto dal panettone, cioè qualcosa di estremamente stucchevole preso a sé ma di indispensabile nel gran corpo di quel dolce)
Personalmente di questo librone, ricco di dialoghi ma con meno figure di quel che si vorrebbe, ho un ricordo confuso e, nel complesso, non certo pari ai due libri di Alice, ma l'ho letto tanti, troppi, anni fa. Dalla confusione emergono comunque alcuni brani folgoranti, sparsi qua e là, questi sì sicuramente all'altezza del miglior Carroll. Su tutti la canzone del giardiniere matto, di cui qui s'è già detto e di cui presto si tornerà a dire.
Per dare un mio giudizio più articolato dovrei rileggerlo, ma il tempo per quelle quattrocento e passa pagine, no, non mi va di trovarlo, son pigro, l'ho detto. Me la caverò facendo mie le parole di Martin Gardner (altro tipo mica pirla pure lui):
In conclusione come dovremmo valutare questo lungo, complicato, curioso “romanzo di idee”, così ricco di nonsense, giochi linguistici, e riflessione filosofica? La narrativa vittoriana popolare spesso combinava pietà religiosa e sentimentalismo [...] ma è inutile negare che “Sylvie e Bruno”, più di tutti, trasudi sentimentalismo, moraleggiante e melenso, e una dolcezza stucchevole, nelle parole di Miss Berman: “sgradevole come troppo zucchero filato.” Miss Lennon lo definì “il più grande scarabocchio” di Carroll, un “libro terribile”, un libro “di infernale ottusità”. Eppure lei stessa affermò anche: “Che libro! Che nobile rovina!”
Derek Hudson, nel suo “Lewis Carroll: An Illustrated Biography” (1977), lo ha detto benissimo. Sylvie e Bruno è “uno dei fallimenti più interessanti della letteratura inglese. È certamente unico, nessuno oltre a Dodgson avrebbe potuto scriverlo; nulla di simile sarà mai prodotto di nuovo”.

La citazione iniziale di Masolino d'Amico è presa dall'introduzione di “Cara Alice...” raccolta di lettere di Lewis Carroll (Einaudi, 1985).

Il brano dalla prefazione di Carroll è tradotto da Franco Cordelli e viene, ovviamente, da “Sylvie e Bruno” (Garzanti 1978) così come da lì viene il testo di Cordelli che è preso dalla sua “Nota” conclusiva.

Il pezzo di Deleuze è tradotto da Alberto Panaro e l'ho preso da “Critica e Clinica” (Raffaello Cortina Editore, 1996) già che ci sono metto qui l'intero capitoletto dedicato a Lewis Carroll.

Sono mie le traduzioni della citazione di Thomas Christensen che ho preso da qui ossia della prefazione a “Sylvie and Bruno” (Mercury House, 1991) e di quella di Martin Gardner anche questa da una prefazione a “Sylvie and Bruno” (Dover Books, 1988).

Per chi mastica l'inglese su archive.org ci sono varie copie digitalizzate di “Sylvie and Bruno” (per esempio qui) e della seconda parte “Sylvie and Bruno concluded” (per esempio qui).

Sempre su
archive.org c'è anche “The Story of Sylvie and Bruno” (qui) versione spicciamente “amputata” da Edwin Dodgson (fratello minore di Caroll) nel 1904 da cui è stata espunta la storia che si svolge nel mondo reale dalle 800 e passa pagine originali questo libro ne conta 329. Per dire quanto sono fanatico, ho scoperto grazie a questo mio post che nel 1910 (probabilmente ristampata nel 1913 e poi ciao!) è stata fatta una versione ridotta di questa versione ridotta (da 329 a 80 pagine, sempre con le illustrazioni di Furniss) è nota col nome “The Story of Sylvie & Bruno (abridged)” e io non mi capacito che online si trovi poco o niente a riguardo. Non ne parla nessuno, non c'è su archive.org, non ce ne sono copie in vendita su abebooks, non è reperibile in alcuna biblioteca italiana (in svizzera sì) ma soprattutto non ne parla nessuno!  E io non me ne capacito.

La prossima volta che parlerò di Carroll e di “Syvlie e Bruno” sarà di nuovo per via della canzone del Giardiniere matto.

7 commenti:

Marco Bertoli ha detto...

Bellissimo articolo! Pensa che a me i libri di Alice non sono mai interessati, ma adesso leggerò senz'altro «Sylvie and Bruno».

Marco Bertoli ha detto...

Pensa che a me i libri di Alice non sono mai interessati,

naturalmente li ho letti, a loro tempo

andrea 403 ha detto...

Peccato che non esista una versione "abridged" di Sylvie e Bruno in cui siano state emendate solo le parti nonsensical… magari era quella giusta per te :)

MikiMoz ha detto...

Mi hai convinto a leggerlo!
Sicuramente in lingua renderà di più, ma ci accontentiamo!
Se è fuori catalogo... dovrò fare l'Indiana Gionz dei libri, per trovarlo^^

Moz-

Marco Bertoli ha detto...

http://www.bookdepository.co.uk/search?searchTerm=sylvie+and+bruno&search=Find+book

andrea 403 ha detto...

Volendo leggere in lingua anche una economicissima edizione di tutte le opere di LC ci può stare:

http://www.bookdepository.com/Complete-Illustrated-Lewis-Carroll-Lewis-Carroll/9781840220742

http://www.bookdepository.com/Complete-Illustrated-Works-Lewis-Carroll-Lewis-Carroll/9780753709153

http://www.bookdepository.com/Complete-Illustrated-Lewis-Carroll-Lewis-Carroll/9781853268977

questa ricerchina mi ha fatto scoprire che bookdepository ha prezzi diversi tra il .com e il .co.uk è infatti l'ultimo titolo qui costa venti centesimi meno:

http://www.bookdepository.co.uk/Complete-Illustrated-Lewis-Carroll-Lewis-Carroll/9781853268977

vatti un po' a fidare...

cooksappe ha detto...

segno