Negli ultimi anni di liceo, e per un po' di anni a seguire, ho raccolto idee intorno a una complessa storia a fumetti (il ché è strano perché io non pensavo di fare il fumettista e non l'ho mai pensato finché non mi è stato proposto dieci anni dopo o giù di lì).
Il titolo scritto a pennarello sulla cartellina che conteneva quegli appunti (ché il computer che avevo all'epoca era una Spectrum Plus e non l'ho mai usato per scrivere) era
“The Progetto”. Già, non sono mai stato un drago riguardo ai titoli provvisori (questo sicuramente s'ispirava a “The Great Complotto” una realtà attiva, all'epoca, a pordenone).
“The Progetto” era una raccolta incoerente di spunti visivi e narrativi, ce l'ho presente solo sommariamente (ma ho ancora gli appunti da qualche parte). Ricordo bene però che uno dei personaggi era ossessionato dall'arte sacra e si era dato come scopo della vita un compito ambiziosissimo. La
mia idea per fargli raggiungere l'impossibile obiettivo era in realtà un mash-up tra due altre idee che avevo preso da
due autori con qualche esperienza più di me: Arthur C. Clarke e Jorge
Luis Borges. Poi ci torno, prima vi dico delle scimmie che ho messo nel titolo del post.
Non pensavo più a
“The Progetto” da molti anni, ma ieri me l'ha fatto tornare in mente
un articolo di Lucius Etruscus pubblicato su
Thriller Magazine che ho scoperto grazie alla
pagina facebook di Andera Carlo Cappi. L'articolo è un'accurata indagine sulle fonti del tema (filosofoco e letterario)
«possono sei scimmie, dato tempo sufficiente,
creare le opere di Shakespeare? Allo stesso modo, tirando dei dadi con
su incise delle lettere, si possono creare opere intere?» e, naturalmente, si cita Borges e la sua Biblioteca di Babele (oltre a Jonathan Swift, Raimondo Lullo, Carroll col suo Sylvie e Bruno e qualche altro signore).
Visto che si tratta di un articolo d'argomento molto "403esco" (ma con un'accuratezza che 403 si sogna) introduco appposta il tag: "l'invidia del post".
Torniamo al mio personaggio ossessionato dall'arte sacra, in
"The Progetto" il protagostita viaggiava in una serie di mondi paralleli e, a un certo punto, finiva in universo del tutto analogo a quello descritto da Borges in
"La biblioteca de Babel" solo che là, invece di essere conservati libri di 410 pagine, c'erano – ordinatamente organizzati in cassetti – cartoncini rigidi in formato 50x70. L'origine di quei cartoncini era un'eterna macchina da stampa, centro di quell'universo, che da secoli componeva tutte le possibili combinazioni dei quattro retini di quadricromia (giallo, cyan, magenta e nero, pensandolo oggi avrei usato immagini formate da pixel) ottenendo così tutte le immagini possibili. E tra queste immagini, ogni possibile riproduzione di ogni concepibile (e inconcepibile) fotografia, ogni quadro astratto, tutti i capolavori che michelangelo, kandinskij o picasso non hanno mai fatto e, perfino, un fedele ritratto del volto di Dio.
Questo è che che sperava di aver realizzato il mio personaggio: un universo parallelo il cui scopo ultimo era ritrarre somigliantemente Dio.
Insomma, chi la sà l'ha già capita: al
la Biblioteca di Babele avevo incrociato il racconto di Clarke
I nove miliardi di nomi di Dio e avevo traslato il tutto dal piano letterario a quello visivo.
Il racconto di Clarke c'è ne
Le meraviglie del possibile ma io penso di averlo scoperto attraverso i racconti della mezzanotte di rai radio 3. Eterna lode ai racconti della mezzanotte del 3 che io cominciai ad ascoltare, mi pare, già alle medie, come ultima atto della giornata dopo aver spento la luce, sulla radiosveglia che poi si spengeva da sola.
Sarebbe stato molto cool
fare un parallelo tra le lettere giustapposte a caso dalle scimmie dattilgrafe, tra i libri illeggibili della biblioteca di Babele e il quadro di gioco di Ruzzle, ma proprio non me la son sentita. Voi però fate finta che l'abbia fatto. 403 ambirebbe tanto a essere un blog cool
, ma si deve quotidianamente scontrare colla pigrizia del suo autore.