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domenica 7 ottobre 2012

poker face

Sepp ed io ci siamo conosciuti a Monaco di Baviera e, posso affermarlo senza cadere nell’esagerazione, è stata la persona più singolare che mai abbia incontrato in vita mia (e, vi assicuro, non ne ho incontrate poche).
Lui, a causa dell’alcolismo dei suoi genitori, cresce in un istituto. Esce come migliaia di bambini a sedici anni, traumatizzato e ferito profondamente nell’anima per i trattamenti ricevuti. Comincia, si può dire già da subito, la battaglia per i diritti dei bambini ancora rinchiusi in questi posti disumani. Negli anni, solo col passaparola, crea una rete di comunicazione tra le persone che hanno subìto e sofferto come lui e si crea così un’associazione di ex bambini degli orfanotrofi.
Sepp ne diventa il portavoce e riesce a far interessare anche la televisione al problema. Così passa da un talk-show al altro, parlando senza vergogna di sé, della sua conseguente malattia psichica, senza tralasciare le mostruosità che, in quegli anni, i bambini hanno dovuto sopportare negli istituti tedeschi per l’infanzia abbandonata. Scrive un libro. Pubblica delle poesie. Il trionfo per tutti arriva nel duemila, quando lo Stato riconosce i traumi vissuti di questi bambini e concede degli indennizzi e delle pensioni d’invalidità per tutte le persone che hanno sporto denuncia contro tale trattamento.

Traumi e danni nel caso di Sepp erano una realtà con cui doveva fare i conti spesso e, ogni tanto, dava i “numeri”. Un giorno la polizia lo trovò a passeggiare in mutande e la scampagnata finì nel reparto chiuso dell’ospedale psichiatrico. Ciò che capitò in seguito, forse un poco è anche colpa mia. Gli avevo riempito la testa per anni, della bellezza dell’Italia, delle persone così diverse dai tedeschi che a me sono sempre apparsi duri e insensibili. Era forse la mia nostalgia che si era impossessata di lui perché, dopo una settimana di ricovero forzato, riuscì a eludere la sorveglianza e – non so come – si trovò in volo verso Roma.

Perché Roma? Perché voleva, semplicemente, discutere a tu per tu con il Papa, mi diceva. Sorridendo poi mi ha spiegato che la sorveglianza vaticana per diversi giorni ha avuto un bel da fare con lui per tenerlo lontano e farlo desistere (sempre con le buone) dal suo intento.
Nello stato in cui si trovava mentre raccontava, cioè, non precisamente con i piedi per terra, oltre la mancata visita al Papa, si ricordava poco delle altre marachelle che aveva combinato nei quindici giorni successivi, nel mio Paese amato. Comunque era sicuro di aver dato spettacolo, perché una sera si trovò in una caserma dei Carabinieri: “ma non chiedermi in quale città mi trovavo”, mi diceva.

Tutto, anche se è divertente, deve avere una fine. Forse perché gli era tornata un po’ di lucidità o forse sentiva quella nostalgia di casa propria che provavo io, fatto sta che Sepp decise di tornare in Germania. Ma lui voleva ritornare in aereo e, senza un soldo in tasca, non era facilissimo. L’unica idea che gli venne in mente per risolvere il problema fu di inscenare un teatro (beh’, a pensarci bene forse non era ancora tanto lucido): salì sul tetto di un condominio e si mise a urlare (logicamente in tedesco perché non parlava una parola d'italiano) facendo finta di volersi buttare giù.
Mise in grande agitazione tutto il quartiere, la polizia, i pompieri e, alla fine, quando ebbero trovato un’interprete, mise in grande agitazione anche quella. Le disse che era scappato dalla Psichiatria di Monaco e che sentiva un bisogno incontrollabile di volare, quindi, sarebbe sceso soltanto se lo avessero riportato in aereo, altrimenti doveva usare il tetto per spiccare il volo che tanto desiderava, a costo della propria vita.

L’aereo della Lufthansa atterrò dolcemente a Monaco di Baviera, e Sepp, con un sorriso sulle labbra entrò nell’ambulanza che già lo stava aspettando.
Dopo dieci giorni fu dimesso dal suo psichiatra, non senza avergli prima regalato una schiacciatina d’occhio.

Penso che, dopo tutti i suicidi riusciti o tentati di cui vi ho detto, questo bluff meritasse d’essere raccontato, soprattutto perché escogitato da una persona che, portava dentro se un grande rispetto per la vita, nonostante tutte le angosce che questa le aveva riservato.

Lucrezia


ammappate 7

2 commenti:

viadellaviola ha detto...

ma ci farei un film su questa storia!
grazie lucrezia :)

Roberto ha detto...

Se il post precedente era il più triste, questo è il più allegro.

Un ottimo ultimo post per questa serie :o)