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sabato 6 ottobre 2012

Felicitas

Il primo pensiero di Felicitas al risveglio in ospedale fu: “maledizione, sono ancora viva!”

Il secondo: “ho bisogno di una sigaretta”.

Vorrei incominciare dalle cause che avevano portato questa ragazza, ventenne, a scegliere la morte al posto della vita. Lei, campionessa giovanile di Judo, applaudita da tutta la Germania aveva dovuto lasciare lo sport professionista a causa di un incidente: prima botta. La separazione alquanto movimentata dei genitori le aveva dato il resto. Normalmente, in un divorzio, la mamma e il papà ne inventano di tutte pur di avere l’affidamento del figlio. La propria prole è l'argomento più indicato per un ricatto eterno. Non così per Felicitas. I suoi genitori, ognuno già con il proprio amante per mano, litigarono solamente per la casa, i piatti, le tazzine e le posate, ma nessuno dei due aveva tempo d’occuparsi della figlia ancora minorenne. Che pena per la ragazza accorgersi che i suoi genitori, non soltanto volevano divorziare tra loro ma, sembrava, pure da lei.

Per anni fu costretta a fare la sponda tra una casa e l’altra, con lo zaino sempre pronto per quando era giunta l’ora di sloggiare nuovamente. Logicamente i due ex coniugi non si accorsero che la loro figlia si stava ammalando di “voglia di non esistere più”.

Torniamo in ospedale. Felicitas, ancora intontita dalle pastiglie prese per lasciare questo mondo, suona il campanello per chiedere se è possibile fumare una sigaretta. L’infermiera, scocciata per essere stata chiamata per una richiesta poco urgente, le risponde con un secco no! La ragazza le fa notare che nel bagno c'è un portacenere già usato e che ha veramente tanto bisogno di quella sigaretta, per calmarsi un poco. Evidentemente questa persona, che dovrebbe accudire e infondere coraggio ai malati, doveva aver saltato la lezione in cui spiegavano come ci si comporta con una paziente aspirante suicida ecosì Felicitas si sente rispondere: “altro che sigaretta ti darei, tu hai soltanto bisogno di una ripassata da tuo padre!”

A questa risposta, non proprio sensibile e dilicata, succede l’irreparabile! Felicitas scatta dal letto, dà uno spintone all’infermiera che cade mettendosi a strillare come un’aquila.

Nei giornali sarà poi scritto che: «la
coraggiosa infermiera è riuscita a divincolarsi e, con l’aiuto del personale, la ragazza è poi stata immobilizzata e trasferita immediatamente in un ospedale psichiatrico. L’infermiera ha sporto denuncia per aggressione a causa delle ferite riportate, che per quaranta giorni le hanno impettito di lavorare, perché costretta a portare un collare per evitare eventuali complicazioni alla spina dorsale».

Non so perché, ma a me sentendolo è venuto subito in mente il famoso “colpo di frusta” che, dopo un tamponamento, tante persone cercano di usare per incassare risarcimenti dalle assicurazioni. Un simpatico collare per creare il giusto effetto per suscitare compassione.

Felicitas, dopo l’avvenuta denuncia, viene trasferita in un OPG (ospedale psichiatrico giudiziario) in attesa del processo. Il giudice, senza tenere conto del fatto che mai nella sua vita avesse reagito aggressivamente in qualsiasi situazione, la condanna anche a causa della sua passata attività sportiva: lo Judo, considerato dal giudice uno sport violento e aggressivo, fa automaticamente della ragazza un pericolo per la comunità.



Da quella sentenza sono passati più di dieci anni e, nonostante lei non si sia mai dimostrata litigiosa o irascibile durante la sua detenzione, ancora non se ne vede la fine.
Ogni sei mesi viene un giudice in visita e se ne va dicendo: “non mi sento di garantire per l’incolumità delle persone, che possono venire a contatto con lei, e quindi non sono in grado di prevedere la reazione della paziente se dovesse trovarsi in situazioni analoghe, come descritto nell’accusa”. Con questa frase nelle orecchie Felicitas ogni volta torna rassegnata nella sua sezione, senza aspettare col cuore in gola la prossima vista dell’onorevole giudice, perché ormai è convinta che il suo giudizio difficilmente muterà.

Un mio consiglio spassionato: fate l’amore e non un suicidio, che in quel caso la sigaretta del “dopo” non ve la nega nessuno.

Lucrezia



ammappate 6

1 commenti:

Roberto ha detto...

Questa è la storia che ho trovato più deprimente. Almeno i due precedenti sono riusciti ad ammazzarsi... e fine dei problemi!