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venerdì 20 luglio 2012

sogno dei fantasmi

Sogno dei fantasmi. Ce ne sono parecchi nella grande architettura vuota in cui io e i miei compagni siamo appena arrivati. Quegli spettri a vederli sono come persone normali, vestite normalmente, forse un po’ più trasparenti di quelle vere. Non è che li possono vedere tutti, però li posso vedere io e le persone che sono con me. Non sono minacciosi i fantasmi, stanno in piedi, fermi, non fanno niente, al massimo scambiano due parole tra loro, ma poche.

Poi mi ritrovo da solo, in un cimitero. Mi guardo intorno e (che strano!) mi stupisco che lì di fantasmi proprio non ce n’è. Ci penso su un po' e poi mi pare ovvio: nessuno muore in un cimitero.
Tutti muoiono da qualche altra parte e poi ce li portano lì dopo morti. Gli spettri restano altrove, in quei posti dove l’anima gli si è staccata dal corpo. Per questo il cimitero è deserto.

E allora, sempre nel sogno, provo a immaginarmi come possano essere certi reparti di certi vecchi ospedali dove, da decenni, ci muore gente ogni giorno. E me l’immagino fitti fitti di fantasmi, come la metropolitana di tokio all’ora di punta (ma i fantasmi hanno il vantaggio che se ne possono pigiare, nello stesso posto, molti di più rispetto ai pendolari giapponesi che, invece, devono vedersela con quella cosa dell’impenetrabilità dei corpi).

Gli spettri non sono minacciosi, l'ho detto, occupano solo un po' di spazio e anche quello per modo di dire. E comunque farli sparire è facile, basta dire loro: “Non credo in te, sparisci! Non ti stimo” e loro spariscono. Anche interi gruppi alla volta.

Pineta di Roccamare, notte tra il 9 e il 10 luglio 2012

giovedì 19 luglio 2012

dentifricio


Sto portando alla mia detenuta una gigantografia di una foto di suo figlio da piccolo (nel frattempo lui è da poco andato a vivere con la sua nuova fidanzata, il tempo passa).
Mi preoccupo un po’ perché ai controlli all’entrata non sai mai. Cioè, in genere gli agenti non fanno questioni, fanno i loro controlli ragionevolmente, ma non puoi saperlo prima. Per dire, una volta non mi hanno permesso di entrare in prigione col piccolo telecomando del mio cancello di casa, che se ne stava tranquillo in borsa assieme alle chiavi della macchina, perché era una cosa “elettronica, come i telefonini” e i telefonini dentro è vietatissimo portarli.

Questa volta, invece, ho un rotolo lungo mezzo metro e passa con su la foto del faccione sorridente di un bimbo di un anno. Anche se è un oggetto palesemente innocuo, non si sa mai, magari è contrario al regolamento e di sicuro tutto dentro la mia borsa non ci sta, spunta fuori di parecchio e si vede, attirando l'attenzione.

Prima di uscire di casa mi leggo bene il permesso che ho (e che di solito non porto con me, perché per far entrare me in galera basta il tesserino) e tra le varie cose che mi autorizza a portare vedo che ci sono i poster. Che quella foto sia o meno da considerare un poster è opinabile, ma io a questo punto mi porto dietro il permesso e sono più tranquillo.

Arrivo in carcere e gli agenti al secondo posto di controllo (gli unici che si preoccupano di cosa porti dentro) sono in tutt’altre faccende affaccendati. Non mi degnano di uno sguardo. Potrei avere con me un sassofono, un poster o una giraffa, sarebbe uguale. A quelli del primo posto di controllo interessa solo che tu abbia un tesserino valido per entrare e a quelli del terzo interessa solo chi sei e che ci fai nel loro reparto, quindi è fatta!

Incontro la detenuta, oggi è un po’ giù (ché non è sempre facile essere su di tono, quando stai in galera) ed è una fortunata coincidenza che proprio qualche giorno prima mi sia arrivato per posta il tubo con dentro la sua gigantografia. Gliela do e lei è tutta contenta. Se la guarda, mi guarda e dice: “Ora vado su in camera, prendo il dentifricio e l’attacco”.
“Eh?!”
“Il dentifricio… Io le cose al muro le attacco col dentifricio: è resistente e quando le stacchi non restano i segni, i residui vengono via in un attimo senza lasciare alcuna traccia. È in questo modo che riesco a cambiare, spesso, aspetto alla mia cella senza rovinarne le pareti”.
“E ti regge anche un poster fotografico 60 x 90?!”
“Se è per questo il dentifricio mi regge anche una coperta di lana, sai quelle coperte africane, tutte colorate?”
“Sì… insomma, forse… diciamo di sì”
“Ecco, d’inverno la uso come coperta, mentre d’estate l’attacco al muro che mi fa allegria”
“Col dentifricio?”
“Certo”

Questa cosa dell’ingegno che in carcere bisogna, giocoforza, aguzzare (per esempio tenendosi i coperchi taglienti delle scatolette di tonno a strappo, per poi usarli come coltelli da cucina di fortuna, visto che di coltelli veri in galera, ovviamente, non te ne fanno tenere) a me ha sempre affascinato. Un paio di volte l'argomento che è saltato fuori pure qui. Magari varrebbe la pena di raccoglierle, in modo più organico, queste cose.

Mi pare fosse Thomas Mann che diceva che la creatività necessita di restrizioni.

Ah, il dentifricio deve essere quello bianco, mica quello verde coi microgranuli che uso io, ché altrimenti quella cosa che non lascia segni non è tanto vera.
senza passare dal via (17)

lunedì 16 luglio 2012

a lume di naso...

In realtà io non sono del tutto anosmico. Diciamo che ho un olfatto torpido, estremamente torpido. Non abbastanza da evitare di sentire l'odore, forte, di bruciato quando c'è, ma abbastanza dal non salvarmi dalla fuga di gas (e, infatti, quella volta del gas aperto si è accorta la mia vicina passata a salutare, io mi ero già addormentato alla tivù, sostanzialmente perdendo i sensi).


Oggi rientro a casa e, per l'appunto, c'è odore di bruciato. Lo sento. Ma la mia quasi anosmia non mi permette di localizzarne la fonte. Viene da fuori? (ho le finestre sempre aperte in 'sto periodo). La fatina ha fatto uno dei suoi danni? (stamattina la maldestra fatina brasiliana della pulizia era da me, conoscendola potrebbe aver dato fuoco a una maglietta, stirandola, ma trattandosi di lei potrebbe averle dato fuoco anche solo mettendola nell'armadio). Uno dei miei grovigli di cavi e prese ha fatto contatto e si è bruciata un po' di plastica? (ché, solo attorno al computer, ho un guazzabuglio di ciabatte in serie che sembra un groviglio biomeccanico alla Giger, solo disegnato male).

Niente, sono abbastanza anosmico da girare per casa facendo "snif snif" per ogni dove e non capire se l'acre odore di roba combusta viene da dentro (e, nel caso, da dentro dove?) o da fuori.

Lascio perdere, da lontano ci vedo ancora bene, se qualcosa prenderà fuoco a più di trenta centimetri dal mio naso, me ne accorgerò.


Più tardi, girellando per casa, mi accordo che - sopra uno dei mobili dei cd - c'è un piattino di plastica con sopra uno zampirone acceso. Insomma la fatina è andata via lasciando - in corrente d'aria - uno zampirone anti zanzara acceso (su un piattino di plastica e accanto a dei fogli di carta, per altro). Con quella donna si deve stare sempre all'erta.

Poi c'è da dire che a casa mia le zanzare lavorano su tre turni e hanno una tale produttività che sarebbero il sogno di uno come Marchionne. E penso che la fatina, in brasile, sarà anche abituata a insetti più grandi, ma di certo non altrettanto molesti.


ah, invece i sapori li sento benissimo, si stupiscono sempre tutti di 'stacosa

venerdì 13 luglio 2012

nelle ultime 36 ore

Ieri ho lasciato casa dei miei al mare, in toscana, alle ore tredici. Ho messo piede a casa mia a milano alle ore ventidue. Il tutto perché – con giorni di anticipo – trenitalia ha cancellato il treno su cui ero prenotato e non ha ritenuto opportuno avvisarmi.

Arrivo qui e scopro che qualcuno, in mia assenza, non ha chiuso bene la porta del mio frigo (a volte capita che, in mia assenza, casa mia venga adoperata da altri, per esempio come sala prove) ho dovuto buttare tutte le scorte di cibo lì conservate (su cui, per altro, contavo per la cena).

Stamani, all'alba, sono a un ospedale. Niente di che, ho bisogno che in fine qualcuno verifichi quanto sono ciecato da vicino, così finalmente mi potrò far fare un paio di occhiali.
Pago il ticket, scendo sotterra nell'area degli ambulatori e, dopo un po' di attesa, riesco a dare il mio foglietto all'infermiera che si occupa dell'accettazione.

L'infermiera – rotondetta, aria simpatica, molto gentile – per tutto il tempo non smette un attimo di parlare da sola. Continua a dirsi fitta fitta "la camomilla devo prendere al mattino! mica il caffé! basta caffé, solo camomilla" e poi fa spesso cenno, in modo oscuro, a una certa "missione su marte".

Della missione su marte poi ne dice anche a me, al momento di congedarmi. Credo volesse intendere che ci sono i soldi per andare su marte ma non ci sono i soldi per prendere una stampate a loro. Il numero di pratica che mi servirà un domani per aver copia della documentazione medica, infatti, me lo scarabocchia su un'etichetta autoadesiva appiccicata a un pezzetto di plastica (e un po' la calligrafia, un po' che da vicino sono ciecato, se no non sarei lì, io quel numero mica l'ho ancora capito bene).

Ecco comunque sono tornato.

venerdì 6 luglio 2012

tante care cose

Vado, per una settimana non ci sarò, nel senso che non potrò neppure accedere all'internet (non è bello, ma non ci posso fare nulla). Statemi bene e non trapazzatevi troppo in mia assenza.


giovedì 5 luglio 2012

lo sapevate?

In Siberia esiste un'incisione rupestre che raffigura un uomo sugli sci apparentemente intenzionato ad accoppiarsi con un alce e che viene datata al 5000 a.C.
Un uomo sugli sci apparentemente intenzionato ad accoppiarsi con un alce?!
Il mio libro da metrò di cui dicevo ieri è pieno di notizie curiose.

mercoledì 4 luglio 2012

capelli e peli pubici

Il vantaggi strategici dell'avere un pollice opponibile o una struttura fisica che favorisca la postura eretta sono lampanti. Non stupisce quindi che, rispetto ai nostri antenati scimmieschi, la selezione naturale che ci ha portato a essere homo sapiens sapiens abbia operato in tali direzioni. Ma perché la selezione che ci ha voluti tutti glabri ha fatto eccezione per peli pubici, barba e capelli?

Insomma, perché abbiamo i capelli?
E, ancora, perché non smettono mai di crescere?
(una cosa che, in natura capita, solo a noi!)
E dei peli pubici? Che possiamo dire?

Non so voi, a me non è mai venuto in mente di chiedermelo. Almeno non fino a quando non me lo ha fatto notare questo libro:


Il mio libro da metrò del momento, comperato grazie alla puntuale segnalazione di un'amica (che ormai qui, nella mia combriccola, c'è una gara di solidarietà per segnalarmi titoli papabili per la carica di "libro da metrò". Di questo passo, mi toccherà fare viaggi più lunghi e/o più frequenti in metropolitana).

Del libro parlo fra un attimo. Per prima cosa però un pensiero a quelli della casa editrice (per altro, in genere, stimabile) che secondo me ha tradotto titolo e, soprattutto, sottotitolo davvero un po' a cazzo.
Da noi il libro s'intitola "Le cose che non sappiamo" e si sottotitola "501 casi di comune ignoranza" detta così parrebbe uno di quei libri che presentano raccolte di nozioni che, in genere, l'uomo comune ignora quando invece non è convinto di saperle ma le sa sbagliate (un po' come "Il libro dell'ignoranza" o "Il libro dell'ignoranza degli animali", testi per altro gustosi). L'edizione originale di questo invece fa "The Things that Nobody Knows: 501 Mysteries of Life, the Universe and Everything" come a dire "Le cose che nessuno sa: 501 misteri della vita, l'universo e tutto quanto". E proprio quello vuole essere: un repertorio di tutte quelle cose che lo scibile umano non è ancora arrivato a sapere (e in qualche caso, forse, mai saprà).

Sono a un terzo del volumone e qualche cosa già mi sento di dirla: l'idea di mappare l'intera ignoranza umana è ovviamente un'ambizione impossibile, ma l'autore (scacchista, matematico, psicologo e presentatore TV britannico) non si perde d'animo e l'affronta con una certa serietà.

Le domande (tutte con una risposta che non risponde davvero alla domanda, ma che ti spiega perché non si può dare davvero una risposta) sono divise per argomento e gli argomenti stanno in rigoroso ordine alfabetico, garantendo così un effetto "di palo in frasca" davvero gradevole: acqua, aglio, alfabeti, america, antartide... e più avanti: cosmologia, cristianesimo, dinosauri, dna... ("cristianesimo" però se lo sono dimenticati nell'indice, ma cosa avranno avuto per la testa il signor Bollati e il signor Boringhieri quando si stavano occupando di 'sto libro? Saranno stati innamorati...)

Arrivato a un terzo delle 400 e passa pagine posso dire: un po' discontinuo (non tutte le "non-risposte" le ho trovate egualmente efficaci) ma nel complesso non male, ottimo come libro da metrò, se scrivessi ancora per Martin Mystère qua e là ci troverei pure qualche spunto interessante (e non banale) per qualche storia di fanta-archelogia, fanta-storia o fanta-qualcosaltro.

Ma torniamo ai capelli, così vi copio un pezzo del libro e vi fate meglio un'idea. Questo è quello che ci racconta Hartston a riguardo (la domanda è nella sezione "capelli e peli" che si trova tra "cannibalismo" e "cartografia"):
Perché i capelli diventano così lunghi?

Da un punto di vista evoluzionistico, la nostra capacità di far crescere così tanto i capelli sembra alquanto strana. Si ritiene di norma che il comune antenato che condividiamo con i primati fosse parecchio peloso. Nel corso dell'evoluzione, durame la quale ci siamo allontanati dai nostri parenti scimmie, ci siamo disfatti gradualmente della maggior parte dei peli che ricoprivano il nostro corpo. I capelli, ovvero i peli che abbiamo sulla testa, crescono invece molto di più di quelli di qualsiasi scimmia, nonché di qualsiasi altro animale. I peli corporei crescono per lo più fino a una certa lunghezza e poi cadono, come accade alla maggior parte dei mammiferi. In testa, invece, e anche sul mento e le guance degli umani di sesso maschile, capelli e peli possono crescere fino a un metro e anche più.
Ancora una volta è stata data come spiegazione la selezione sessuale, anche se non è stato specificato se essa si basi sulla bellezza dei capelli lunghi, sulla convinzione che essi comunichino una buona forma fisica o sugli odori che possono trattenere.
E comunque sì, anche sul perché dei peli pubici non abbiamo molte certezze (ci erano utili poiché indicatori della raggiunta maturità sessuale? poiché ci proteggevano zone quantomeno delicate? perché, trattenendo i feromoni, facilitavano così l'accoppiamento? mah... non si sà).

Dai, questa volta vi metto pure la scheda seria seria, come fossimo su un blog serio serio.

William Hartston
Le cose che non sappiamo
isbn: 9788833923307
traduzione Luigi Giacone
Bollati Boringhieri
pagine 403
euri 16,50

lunedì 2 luglio 2012

stagione di caccia

Lasciando da parte la mia naturale modestia per un attimo, posso proprio dirlo: sono stato un grande uccisore di zanzare (con buona pace del mio karma ma tanta pace della mia epidermide) quelle mi volavano attorno con intenzioni e attenzioni di tipo alimentare e io SMAK come nella vecchia pubblicità del Sole Piatti (ma senza piatti) suggellavo con un singolo e sonoro applauso il loro ultimo istante di vita.

Poi: la presbiopia! Per uno schiffeggiatore di zanzare, pro o semi-pro, la presbiopia è la fine della carriera.
Ché quelle cabrano, vanno in picchiata e, soprattutto, s'allontanano e s'avvicinano e tu, una volta che le hai agganciate, sempre le devi seguire con lo sguardo, è lo sguardo il tuo radar, sempre a fuoco le devi tenere se vuoi suggellare con un seco battimano il loro ultimo batter d'ali.

Totale:
Il primo sintomo della presbiopia è stata la difficoltà a mettere a fuoco da vicino.
Il secondo intomo della presbiopia, per me, sono stati ponfi grossi così su braccia e gambe.


Ché come uccisore di zanzare io sarò anche al crepuscolo ma quelle, da queste parti, mica attaccano solo al crepuscolo! Qui quelle son feroci e lavorano su tre turni (come i metalmeccanici ai tempi del boom) e io ormai becco solo le più lente, le più rovinate (contribuendo così – almeno secondo Darwin – a selezionare un razza ancor più efficiente e più letale).

(e così i miei ponfi, col tempo, aumenteranno anche di più)