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giovedì 30 giugno 2011

musica del tubo

In rete ci sono un sacco di filmati di persone comuni che suonano, che suonano anche bene, e c'è qualcuno che ha pensato di prendere un po' di questi filmati, frullarli (ma con criterio) e tirarne fuori qualcosa di nuovo. E a me questo cose incuriosiscono sempre il giusto.

Kutiman in realtà per davvero di chiama Ophir Kutiel, Kutiman è il nome d'arte. Lui è un musicista israeliano e nel 2009 ha realizzato un progetto intitolato ThruYOU in cui ha ottenuto una serie di brani originali (disponibili aggratis come mp3 o filmati) montando e remixando suoni tratti da filmati Youtube di musicisti più o meno amatoriali (qui i link, brano per brano, a tutti i filmati usati come materiale di partenza).

Qui sotto vi metto quello che s'intitola "La madre di tutti gli accordi funk" (però in inglese):



La cosa qui sopra mi è tornata in mente l'altro giorno a causa di Ohadi22. Ohadi22 è israeliano pure lui (sarà solo un caso?) è un musicista e uno a cui piace pasticciare col montaggio video. Anche lui è andato in giro a recuperare filmati Youtube di suonatori più o meno amatoriali, solo che lui si è impegnato a realizzare un paio di super-cover, qui sotto vi metto una versione di "Paranoid Android" pubblicata un paio di settimane fa e che mette assieme 36 diverse versioni della canzone dei Radiohead (due mesi fa ne aveva fatta un'altra con 40 diverse esecuzioni di un brano dei Porcupine Tree).



[via inkiostro]



Infine, per chi volesse emulare le gesta di Ohadi22, consiglio la visita a questo blog che scova in giro e propone video di cover variamente pregevoli: Cover Song Archive: "una raccolta di canzoni conosciute da persone sconosciute".

mercoledì 29 giugno 2011

metterla per il verso giusto

Dopo che almeno due PostSecret avevano affrontato il tema (qui e qui) e che, in illo tempore, su Giavasan se ne era dibattuto. Inkiostro oggi ripubblica un'infografica che, se non dice proprio una parola definitiva sulla questione, almeno relaziona compiutamente sullo stato del dibattito. Non posso esimermi dal seguire il suo esempio.




La cosa che trovo più impressionante è che, sulla Wiki, la discussione a riguardo sia lunga il doppio di quella sulla guerra in Iraq. Mi pare che la cosa ponga delle domande ma non sono sicuro di voler sapere le risposte.

giovedì 23 giugno 2011

l'invidia del piede

Mi alzo ma non mi sveglio. Raggiungo in qualche modo la metropolitana per andare in redazione. Ho sonno, quindi oggi non leggo il mio libro da metrò. Sonnecchio, sguardo basso, altezza scarpe.

Sui maschi poco da dire, ma per le femmine, ormai da settimane, è un tripudio di scarpe aperte, sandali, con tacco o senza, unghie laccate e non. E allora penso "se fossi un feticista del piede femminile, non starei qui così intontito dal sonno. Sarei vispo, arzillo e tutto contento".



Ecco, stamattina avevo così tanto sonno che ho provato invidia per i feticisti dei piedi.

domenica 12 giugno 2011

silenzio

L’anatomopatologo che fa colazione accanto agli inservienti che lavano i corpi. Un altro toglie dalla cassa toracica un fegato e lo appende a un gancio per pesarlo. L’autista stanco che fa un sonnellino dentro una bara aspettando il prossimo viaggio, mentre seghe elettriche, coltelli di dimensioni impressionanti, divaricatori e cesoie danno vita a una danza macabra. Corpi, o parti di essi, che emettono dei rumori sinistri quando sono mossi dalle tavole da sezione. Risate, discorsi tecnici, comunicazioni di servizio, scherzi preparati per i novellini: «Mandalo sul tredici, che quello tra pochi minuti si muove», barzellette spinte, silenzi impenetrabili e pensieri inaccessibili.

E da questo luogo freddo dov’è la morte a segnare il tempo, sterile d’emotività però pieno d’umanità e di tolleranza, Wolfi e altri come lui partono solitari, coscienti di trasportare sul loro carro funebre anche la propria destinazione finale.

L’umorismo è da sempre un buon deterrente contro la paura, contro l’ignoto che viaggia sul sedile posteriore della tua macchina, ma ci vuole anche una grande forza per mantenere il distacco e svolgere il proprio compito in situazioni e momenti di grandi emozioni.

Noi che siamo gli impiegati della vita, quelli con la penna tra le dita, senza sangue sulle mani, vediamo la morte con distacco. Appartiene sì alla normalità e alla realtà di ogni giorno, ma comunque la teniamo separata dai nostri sentimenti. Solo se questa “gelida manina” ci tocca di persona scoprendo così la nostra vulnerabilità, allora si fa viva la disperazione e per un breve periodo ci svegliamo dal mondo della fiction. Ingenuamente urliamo: «perché nessuno mi ha preparato a questo?!»

Wolfi,  già scordato da molto tempo la morte peggiore che ha dovuto vedere, e si sottrae abilmente alle espressioni strazianti negli occhi dei parenti più disperati quando appoggia a terra il feretro. Il suo lavoro si è trasformato in abitudine e forte di questa convinzione è partito per l’ennesimo viaggio. Deve riportare in patria una giovane donna, arrivata da pochi mesi in Germania e deceduta a causa di un incidente stradale.

Il viaggio è lungo e faticoso a causa della neve che cade ininterrottamente, mentre lentamente si avvicina al paese. La strada si riduce a un sentiero che porta verso una piccola collina. Sente crescere un’inquietudine che non riesce a spiegarsi e parcheggia la sua macchina. Vede una casa vecchia dai muri scrostati, quasi fatiscente. Soltanto dall’unica finestra illuminata, dove filtra una luce fiocca, s’intuisce che è abitata. La neve assorbe il rumore del motore e per farsi  notare suona il clacson. La porta si apre e nell’uscio si presenta un uomo giovane. Tre bambini si aggrappano ai suoi pantaloni. In silenzio e nascondendosi le lacrime, seguiti dai piccoli, portano la bara nell’unica stanza della casa. Il padre per ringraziare offre un bicchierino di grappa, poi gli stringe la mano e chiude la porta alle sue spalle.

Wolfi si rimette al volante e lungo il tragitto ha un solo pensiero: Sono poveri, senza la loro madre e domani sarà Natale.

Guardando negli occhi di quei bambini e del loro padre, aveva capito che non sarebbe più stato in grado di continuare nel suo lavoro.

Ancora oggi, se dico a questo mio amico «Ci vediamo», la sua unica reazione è il silenzio.

Lucrezia
Wolfi 7 fine.

Diabolik: colpo al Bitte

Stasera a milano parlo di Diabolik al circolo Arci Bitte nell'ambito di Streep, un'iniziativa messa in piedi da paolo interdonato. In realtà, e per fortuna, non parlo solo io.

Verso le 20:30 sarò sul  palco con davide barzi, uno che la sa lunga su come è nato diabolik al punto che ci ha scritto un libro documentatissimo: Le regine del terrore.

Poi, diciamo verso le 21:15 / 21:30, terrà banco mario gomboli (direttore della casa editrice astorina e, tra le tante cose, capo soggettista di diabolik) a fargli da sparring partner oltre al sottoscritto sottoscritto anche tito faraci (principale soggettista di diabolik - dopo il capo - e sceneggiature espertissimo e versatile, spaziando da tex a topolino, passando per dylan dog, l'uomo ragno, capitan america, brendon... e diabolik, per l'appunto).

L'idea è di inventarsi dal vivo, all'impronta, un colpo di Diabolik ambientato a milano, se il pubblico ci sta magari ci avvarremo anche del suo contributo.




Il Bitte è a Milano in via Watt, al numero 37. Arrivati davanti al 37, vi ritrovate davanti un cancello, lo varcate ed entrate in un cortile a “S” senza nessunissima indicazione: lo dovete percorrere tutto, girando prima a sinistra e poi in fondo a destra, dove sembra che non ci sia nulla di nulla. Poi procedendo per qualche decina di metri dovreste finalmente vederlo. Per entrare ci vuole la tessera ARCI (che, nel caso, si può fare al momento là).

sabato 11 giugno 2011

la giusta temperatura

Ho già accennato che Wolfi si occupava anche del trasferimento di salme nella Jugoslavia allora in guerra. Non passava, dove c’erano i bombardamenti ma, com’è facile immaginare, i controlli erano stati intensificati e militari su jeep, con mitra spianato pattugliavano autostrade, le città e i paesi limitrofi ai confini. Spesso doveva mostrare non solo le bolle di trasporto ma era costretto ad aprire la bara per dimostrare che all’interno c’era un morto e nient’altro che potesse mettere in pericolo quel pezzo di terra slava, rimasto fuori dal conflitto.

Il suo collega Hans, ricorderete, gli aveva consigliato di non affrontare le giornate senza essere equipaggiato dell’antidepressivo più ecologico e in apparenza anche il più innocuo: la birra bavarese. Quando poi, in completa solitudine, mangi chilometro dopo chilometro senza anima viva al tuo fianco per scambiare due chiacchiere, le sigarette e il goccetto per cambiare sapore della nicotina in bocca, diventa con il tempo un gesto automatico. Ora, il carro funebre (mi è difficile capire perché ancora venga usato il nome “carro”, trattandosi in verità di una Mercedes ultimo modello fornita di accessori moderni e di tutti gli optional esistenti, ma manteniamo pure questa definizione medievale) naturalmente è provvisto di aria condizionata che permette all’autista di non soffrire del caldo estivo. Questo è un bene per il guidatore; ma la birra?

Non era possibile usare una borsa frigo, che per la quantità di bottiglieå indispensabili in un tragitto così lungo, aveva la capienza troppo limitata. Il feretro nel retro del “carro” invece sì che era in grado di risolvere il problema di Wolfi! Uscito dalla cella frigorifera per l’ultimo viaggio, il passeggero conservava per molte ore la sua freschezza e grazie a questo fatto, anche la birra si manteneva a una temperatura bevibile.

Prosit, cin-cin e buon viaggio, ci avrebbe detto a quei tempi il nostro autista Wolfi.

Mettiamoci un attimo nei suoi panni. Anche dopo uno sbigottimento iniziale, che sparisce pensando alla sua “vera sete”, non si può accusarlo d’insensibilità.

C’è la partita di Pocker con il morto! Che problema c’è se, grazie a lui poteva farsi una birra fresca!

Lucrezia

Wolfi 6 continua.

venerdì 10 giugno 2011

ma...

Ci andate a votare i referendum, sì?...

uno ricoperto, l'altro ripieno

La parola “ricoperto” mi fa pensare immediatamente allo zucchero a velo, e per un buon ripieno la fantasia culinaria non conosce limiti. Togliamoci invece velocemente dal pensiero i dolci e le anatre perché anche questa volta stiamo parlando di cadaveri, ma per non far rigurgitare chi, dopo aver cenato, è venuto in mente di dare un’occhiatina al blog di Andrea per leggere un’altra delle mie storielle di fatti veramente accaduti al mio amico Wolfi, inizio con il cadavere “ricoperto”.

Non c’è niente di strano nel pensare che delle persone si seppelliscano con anelli e catenine che portavano in vita. Certo se si viene “infornati”, questi gingilli sono restituiti prima alla famiglia in busta a parte, e il motivo è facilmente immaginabile. Quella volta il cadavere portato da Wolfi non era destinato a finire in un forno, ma in un paesino dal nome impronunciabile, della Jugoslavia. C’è da dire prima un’altra cosa perché si capisca il seguito del racconto: il defunto era un grosso delinquente, per non usare sempre la solita parola: “un mafioso”.

Wolfi: «E’ questo il mio?»

Collaboratore: «No, quello li ancora da chiudere è il tuo!»

Wolfi si avvicina e diventa catatonico. Il cadavere è ricoperto d’oro e pietre preziose. Non c’è dito senza anello, vari braccialetti adornano uno dei polsi mentre sull’altro spiccano addirittura due orologi Cartier. “Catenine” grosse come pollici girano attorno a un collo color terra secca e una testa di leone gigantesca tiene in “forma” una cravatta quasi invisibile sotto quel mucchio di gioielli. Il collaboratore di Wolfi coglie lo stupore nei suoi occhi e ridendo gli dice di dare un’occhiata nelle tasche. Con tutte le birre in corpo, mi diceva Wolfi, c’era ormai poco che poteva impressionarlo, ma vedere quel morto e trovare una quantità impressionante di soldi infilati in ogni dove nel completo, gli hanno fatto venire la nausea. Fidatevi se vi dico che non era per invidia.

Arrivato nel paese e scortato da uomini armati fino alla casa del defunto, fu aperta la cassa, i soldi contati, i gioielli controllati e Wolfi… congedato, senza nemmeno un dinaro di mancia.

Così scopriamo che certa gente nella tomba non si porta solamente i suoi segreti. Pare che sono i nuovi faraoni, magari senza piramide, ma in quanto al resto! Se qualcuno in difficoltà finanziarie vuole farci un pensierino sopra; basta che si armi di una pala e che non mi citi come fonte.

Passiamo al secondo morto, a quello “ripieno” molto più povero lui dello scomparso cosparso. Quando su un corpo si procede con l’esportazione degli organi interni per stabilire la causa del decesso, la cassa toracica prima della chiusura, è riempita di cotone. Anche per me questo era una novità, ma a pensarci bene è ragionevole. Bisogna pur ridare forma alla persona, insomma, renderla presentabile in qualche modo, perché possa indossare per l’ultimo viaggio un bel vestito, senza che faccia delle increspature la dove non ce ne dovrebbero essere. Il cotone, usato anche nelle imbalsamazioni (parlavamo giusto di faraoni un attimo fa), non è di certo da considerare un materiale disgustoso. Il tutto diventa invece alquanto ripugnante quando, esaurito il cotone, si continua con giornali! Che orrore!

Cadavere con ripieno di quotidiani! In altri termini: uno imbottito di notizie!

Due monete per la traversata, ma c’è sempre chi ci prova per un posto migliore, non sapendo che Caronte, persona di poche parole, ai soldi preferisce una buona lettura.

Lucrezia
Wolfi 5 continua.

giovedì 9 giugno 2011

formula uno di sopravvivenza!

Dopo corpi strapazzati da treni, alcolici consumati sul posto di lavoro e scambi di persone, ancorché defunte, oggi vi racconto dei metodi usati da Wolfi per passare il più velocemente il confine di stato col suo camion carico di bare vuote. Sì, perché nei sui compiti rientrava anche l’andare in Jugoslavia (allora da poco ex Jugoslavia) con qualche bara piena dei corpi di immigrati morti lontano da casa per poi tornare in Germania pieno zeppo di bare vuote comperate in loco a buon prezzo.

Ci sono persone tra voi che hanno già fatto il camionista? Si! Anch’io, anch’io! Comunque pure gli automobilisti sicuramente ricordano, quando ancora si girava con il passaporto in tasca, le file di camion in attesa che aspettavano i controlli della guardia di finanza. In questi casi, novità nemmeno questa per nessuno, con un piccolo regalino in tasca te la spassavipiù velocemente dal confine. Chi trasportava frutta mollava giù qualche cassetta d’arance, altri consegnavano spontaneamente bottiglie di vino, sigarette, caffè, e gli immancabili giornalini pornografici accettati con entusiasmo ancora ai giorni nostri.

Anche Wolfi chiaramente era provvisto di ogni ben d’iddio, che a un finanziere dell’Est poteva far gola e indurlo così ad accelerare le sue pratiche senza rubargli del tempo prezioso; però, nella vita c’è sempre un però, e Wolfi un giorno dovette fare i conti con questo però.

«Senti, gli disse il comandante, sei un tipo simpatico, perché non ti lamenti neppure se a volte, nonostante tutti i nostri sforzi, non ti possiamo far passare davanti agli altri camion. Con la guerra a due passi siamo costretti a controllare come mai abbiamo dovuto fare prima, ma tu questo lo capisci e passi la notte con noi al bar a ridere e a bere. Io e i miei colleghi, per darti una mano, abbiamo cercato una soluzione al tuo problema perché sei un gran lavoratore, e un lavoratore non si deve ostacolare ma agevolare. Allora, senza dare troppo nell’occhio quando ti facciamo un controllo così, per modo di dire, alla buona, e perché per questo nessuno debba correre dei rischi, sai la guerra, abbiamo pensato che basterebbe che tu ci concedessi il permesso di scaricare una bara a scelta, come campione per tutti gli altri, ogni volta che passi. Noi abbiamo famiglie numerose, nonni vecchi, zii malati e amici. I rischi qui sono tanti, i soldi pochi e dei funerali costano un occhio della testa. Noi ti vogliamo aiutare perché sei un brav’uomo, e sappiamo che capisci anche le nostre necessità».

Wolfi mi raccontò, che la difficile costruzione di questo discorso, che io ho riportato in poche righe, aveva avuto bisogno di una notte intera bagnata da una bottiglia di Slivovitz, intercalata da spuntini di Cepapcici e riso al peperoncino piccante.
Il risultato: Posizione in pool-position, perché alleggerito del peso di una delle centinaia di casse da morto pro passaggio.

Chi non avrebbe accettato, volendo portare a casa sane e salve le sue bare, scagli la prima pietra!
Buon tiro ai moralisti!


Lucrezia

Wolfi 4 continua.

mercoledì 8 giugno 2011

cercasi volontari

Mi è piaciuto iniziare la nostra conoscenza con un cadavere spiaccicato sul treno e poi parlare dei cicchetti, inevitabili per reggere un simile mestiere ma ora, mantengo la promessa, e vi racconto la storia dell’intoppo nell’ingranaggio della macchina germanica, immaginata così perfetta.

Come sulle nostre strade, anche nelle sale della medicina legale ci sono le ore di punta e spesso si formano delle code. In quei momenti, la persona che distribuisce i cartellini per l’identificazione può anche confondersi. I casi di donne scambiate sono pochi. Capita il più delle volte, così almeno mi raccontò Wolfi, a causa della somiglianza tra coetanei di una certa età, che gli uomini finiscano con il laccetto del loro vicino di sventura, al pollice del piede. Di norma prima della sepoltura il personale se ne accorge e rimedia all’errore, o al più tardi si sente l’urlo del congiunto, e capiscono al volo che questo si trova davanti a una persona sconosciuta. A questo punto partono le dovute scuse e il povero è sostituito con la salma giusta. Quando invece la sepoltura è già eseguita col morto sbagliato, c’è poco da scusarsi, ma, soltanto da rimediare al più presto possibile e naturalmente “nel segreto più assoluto”.

«Per la miseria, era prevista per domani la sepoltura del sig. tal dei tali! Ho bisogno di volontari! Avanti, bisogna tirarlo fuori dalla tomba sbagliata se non vogliamo finire tutti nei guai».

E così, con la complicità della notte, fu rimediato all’errore che, secondo me, non è corretto chiamare fatale, perché di fatale a pensarla bene c’è solo la morte.

Rimane soltanto da dire che purtroppo a causa di questo infelice evento, l’uno, povero, è stato seppellito senza che nessuno abbia versato una lacrima, mentre l’altro, più fortunato, è stato inondato di lacrime d’addio per ben due volte.

Anche voi vi chiedete quante volte in media può capitare uno scambio così?
Wolfi da persona riservata com’è, non mi ha mai fornito dei dati, e se i numeri non gli ha dati lui, non iniziamo a darli noi.

Vero che è simpatico sparlare un poco delle disgrazie tedesche?
Auf Wiedersehen!

Lucrezia

Wolfi 3, continua.

martedì 7 giugno 2011

il bisogno del goccetto

Come già accennato ieri, ci troviamo in Germania, paese come tutti sappiamo organizzato al meglio. Tutto funziona alla perfezione e naturalmente si è indotti a pensare che niente sia lasciato al caso. Laddove ogni bus e tram parte e arriva in orario, dove basta una telefonata al 110 ed entro cinque minuti a casa tua si presenta l’ambulanza, dove nessuno negli ospedali dorme nei corridoi e dove ci s’immagina di conseguenza che la morte, con tutte le cose annesse e connesse, sia trattata con professionalità e perfezione quasi militare. Dove niente dovrebbe sfuggire al controllo e dove tutto si trova al posto giusto al momento giusto, capitano invece degli intoppi. Si è indotti per abitudine a pensarla diversamente, ma anche un tedesco è pur sempre un essere umano al quale a volte la situazione può sfuggire di mano con danni se non irreversibili, almeno alquanto imbarazzanti. Di una di queste disgrazie, promesso, ve ne parlo nella prossima storia.

Anche Wolfi, nato già con la particella cromosomica: “So fare tutto io, e la perfezione mi viene naturale”, era dotato pure di una genuina predisposizione all’uso della bibita al luppolo.
Così Hans, suo compagno di lavoro presso l’agenzia di pompe funebri, un tipo magro, segnato già dalla cirrosi epatica a causa della quale pochi anni dopo si sarebbe trovato disteso su quel tavolo di acciaio, gelido, ma “esentbatteri”, non fece fatica a insegnargli: «Mai uscire con la macchina senza la borraccia di grappa che serve a toglierti l’odore della morte che si fa strada anche in bocca, e le birre per tenere alto il morale durante la giornata. Credimi, gli diceva, la polizia non ti ferma per farti soffiare nel palloncino, perché capiscono che senza qualche bicchierino sei spacciato, come il poveretto che ha il piacere di averti come ultimo autista».

Il lavoro è lavoro e Wolfi, persona pragmatica per natura, forte degli insegnamenti e consigli del suo collega, veterano del mestiere, e di conseguenza più che affidabile, si buttò a capofitto nel suo nuovo mestiere.
Non poteva immaginare che la sua prima bevuta, fatta, non per divertimento ma utile solo per digerire quel nuovo mestiere, avrebbe messo le basi – traballanti, degne di un ubriaco (ci sta come paragone) – che lo avrebbero portato, alla fine, per sfuggire ai morti, a un matrimonio durato neanche un anno e a un figlio, concepito, non si sa bene se dal postino o da chi altro mentre lui, imbevuto di birra cercava di reggersi in piedi su un tetto, infruttuosamente. Com’era da temere, quella volta lì del tetto il baratro si aprì facendolo cadere e lui salvò la pelle per un pelo. Si sa. Alcool e lavoro non vanno d’accordo. Con certi lavori bisogna avere la forza di smettere prima che creino dipendenza, per evitare altrimenti l’inevitabile.

Ho fatto una gaffe, perché non bisogna bere quando si lavora e non viceversa. Mah’, siamo sicuri che sia così? Non si è mai visto che un bicchierino ti costringa ad andare a lavorare, certi lavori invece quasi t’impediscono di affrontarli senza aver fatto prima una visitina alla damigiana.
Lasciamo correre perché altrimenti ci troviamo nel solito dilemma del prima l’uovo o la gallina.

Lucrezia

Wolfi 2, continua.

lunedì 6 giugno 2011

niente per stomaci sensibili

Chi non si è mai trovato a fare il cameriere pur essendo, che ne so, mettiamo un’insegnante. Lo dico giusto perché è capitato a me. Bisogna dire però che tra tenere a bada una classe di alunni e un ristorante pieno di affamati non c’è molta differenza. Lo sforzo per adeguarsi alla nuova situazione dura un paio di giorni, poi si gestisce con pazienza la fame di bistecca impanata come la fame del sapere.
Ci sono però dei lavori che mettono a dura prova chiunque. A un mio amico è capitata un’occupazione del genere. Lui si chiama Wolfi e l’ho conosciuto in un ristorante a Monaco di Baviera, dove faceva lo chef e dove io, ex insegnante, stavo per essere assunta come cameriera. Presto facemmo amicizia e mi raccontò la sua disavventura.
Il teatro dove si svolgevano i fatti, erano le sale di medicina legale. Sì, un cuoco assunto come becchino. No, non gli toccava scavare le buche nei cimiteri, le sue mansioni consistevano nel trasportare le persone decedute dal luogo dell’incidente sul tavolo da sezione e poi consegnare i resti ai parenti in Jugoslavia dove, a quell’epoca c’era ancora la guerra. Perché la Jugoslavia e non la Spagna o un altro paese, non lo so dire. Aveva anche il compito di ritirare bare che lì si acquistavano a buon mercato, ma non credo che fosse, come dire, mi dai il vuoto e ti faccio il pieno.
Una persona che da una vita faceva il cuoco, che pensava di nutrire il suo prossimo, che si sentiva male quando un piatto non aveva avuto l’approvazione dello stomaco dell’ospite, insomma quando una persona così di colpo si trova a dover maneggiare persone morte (per fortuna non a causa di wurstel e krauti cucinati da lui), qualcosa si muove nell’anima. Presto si sarebbe reso conto che la maggior parte del tempo lavorativo la passava per strada, non per portare a “final destination” i suoi cadaveri, ma prima doveva raccoglierli: a volte in condizioni singolari e in posti ancora più bizzarri, dove avevano avuto l’incontro con il proprio destino.

Alla periferia di Monaco esiste l’ospedale psichiatrico più grande della Germania. Fu costruito da Hitler per rinchiudere le persone malate e indesiderate prima che decidesse che anche loro dovessero uscire da un camino. Il complesso è composto di una trentina di case, un piccolo cimitero, una chiesa evangelica e una cattolica, un bar con un piccolo ristorante, un supermercato e perfino un piccolo gregge di pecorelle. Alcuni malati cronici, senza famiglia, passano il resto della loro vita in questa struttura occupandosi appunto della manutenzione dei giardini e degli animali, come fungono anche da camerieri e da personale per la cucina nel ristorante. Per rientrare in città è necessario prendere la sopraelevata e succede non di rado che un paziente stanco di sé e della vita, invece di salire sul treno si butta sotto di esso; e in un caso così Wolfi ebbe il suo battesimo del fuoco, dopo aver deciso, non senza riluttanza, di accettare quel lavoro singolare.
«Lucrezia, mi diceva, tu non hai idea in quanti pezzi si scompone un corpo che ha voluto tener testa a una locomotiva. Io, mi spiegava, ero costretto a cercare ogni straccetto di pelle che mancava per completare la ricomposizione del corpo. Si può facilmente iniziare a dare i numeri quando ti manca un dito mignolo del piede. Corri avanti e indietro sui binari a cercare tra la ghiaia un qualcosa che poco tempo fa era saldamente legato a un piede e ora non sai nemmeno se è ancora intero o se devi cercare due o più parti, se il colore assomiglia ancora un poco al rosa naturale o se nel frattempo è cambiato in verde, blu, viola, nero o in un altro colore indefinibile. “Datevi una mossa, si deve riaprire il traffico!” Queste le incitazioni del medico legale, chiamato a determinare la causa della morte che logicamente era stabilita in tre secondi, ma che non poteva lasciare il luogo dell’incidente se tutti i pezzi del corpo non fossero stati scovati. Noi intanto a cercare, grattare pezzi umani dalle ruote, dai binari, frugare tra i cespugli, levavamo lo sguardo in alto perché poteva capitare di trovare qualcosa d’indefinibile appiccicato perfino sui rami degli alberi».
Povero uomo pensavo, mentre lo stavo ad ascoltare. Una volta la sua mente era impegnata a trovare cento ricette come poter cucinare delle patate deliziose (poi tutte rubate, le ricette, da uno dei suoi datori di lavoro), ora roteava intorno al problema come togliere persone spiaccicatesi davanti ai treni o in mezzo la strada.
«A questo punto, continuava Wolfi a raccontare, ci si avviava in ospedale per depositare i resti del malcapitato». La parola, resti, descrive bene lo stato del corpo ed è, in un incidente del genere, da prendere alla lettera. «Superato questo primo impatto atroce con la morte, mi sono illuso che non potesse capitarmi niente di peggio».
Sappiamo invece bene che la vita ci tiene a mostrarci che nelle atrocità i limiti sono illimitati e così il nostro povero Wolfi ne ha viste altre e altre e altre ancora, prima di riuscire a tornare al sicuro tra le sue amate pentole a sbucciare kartoffel.

Forse una storia così non è il modo migliore per farmi conoscere dite voi? Qualcuno potrebbe farsi delle idee sbagliate sul mio conto? È vero, forse era meglio iniziare con le storielle che capitano dentro l’ospedale psichiatrico dove cercano di rimettere insieme i pezzi delle vite delle persone prima che… e non sotto il treno, dopo le amorevoli cure di psichiatri e psicologi competenti e pieni di attenzioni.
Come faccio a sapere cosa succede lì dentro? Che domanda!

Lucrezia

Wolfi 1, continua.

domenica 5 giugno 2011

una settimana dopo...


Streep
Milano è fumetto


Un progetto di Paolo Interdonato, con Giancarlo “Elfo” Ascari, Tito Faraci e Matteo “Flipper” Marchetti.

Dal 10 al 12 giugno 2011 all'Arci BITTE via Watt 37, Milano. Ingresso gratuito con tessera ARCI obbligatoria.

Domenica sera sul palco ci sono anch'io... Ma date un occhio al programma che le altre serate sono parecchio interessanti.




Questa è la spiega del tutto:



Torna Streep. Lo avevamo lasciato, ormai due anni fa, tutto preso dal suo raccontarci il comics journalism, cioè quello strano rapporto tra la realtà e il fumetto, che a volte assume l’aspetto del reportage e altre quello del diario intimo e privato. Tutto questo tempo non è passato invano. Streep ha ripensato se stesso e ha capito che la città, in cui vive e che tanto ama, non merita la vergogna che a volte scatena nei suoi abitanti. Streep vuole essere fiero di abitare Milano e, in un impeto di orgoglio localissimo, vuole ricordare storie di piccolo eroismo culturale che meritano di non essere taciute.
Milano è oggi la capitale economica e industriale del fumetto in Italia. Tanto le edicole quanto le librerie sono dominate dai prodotti di case editrici milanesi. In edicola emergono Walt Disney Company Italia e Sergio Bonelli Editore, seguite, a breve distanza, dalla Astorina di “Diabolik” e dalle Edizioni Paoline del “Giornalino”. In libreria gli editori con le vendite migliori sono le milanesi Rizzoli Lizard e Mondadori, seguite da realtà più piccole ma non per questo meno importanti, come Edizioni BD e Bao Publishing.
Poco ci importerebbe del dominio commerciale del fumetto milanese se non fosse che sappiamo quanto esso sia figlio di una gloriosa storia di progetti editoriali capaci di anticipare, intercettare e orientare lo sguardo dei lettori.
Streep quest’anno si articola in tre serate dedicate al rapporto affettuoso, strano, a volte commovente e altre violento, tra Milano e il fumetto.

scarpe e felicità

Segreti di giornata, appena pubblicati.



Faccio foto di scarpe perché mostrano dove sono stato...
Mi rende felice!



Le scarpe nuove
mi rendono più felice di quanto faccia la gente



La seconda mi ha ricordato il passaggio di una canzone: "cosa sono i milioni, quando in cambio ti danno le scarpe" e mi pare faccia bene il paio con la prima.

C'è un un altro segreto che mi è piaciuto ma che non c'entra con le scarpe, è di un ateo che non trova il coraggio di fare coming out (in quanto ateo) coi suoi parenti cristiani (dice che avrebbe preferito dir loro che è gay), più che altro mi piaciuta l'immagine propagandistica da cui parte. L'ho messo qui.

"PostSecret è un progetto artistico comunitario in divenire in cui le persone spediscono i propri segreti su un lato di una cartolina fatta a mano". La prima volta ne ho parlato qui.



segreti della settimana (91)

lucrezia

Io Lucrezia non la conosco. Però l’ha conosciuta una mia amica, che passa metà del tempo in giro per il mondo, perché Lucrezia non abita qui vicino. Non so bene Lucrezia quanti anni abbia, credo qualcuno più di me, ma magari è una mia impressione, molte cose di lei non le so, non ci siamo mai parlati.
Però ci siamo scritti, mica mail, lettere vere, ma non scritte a mano, scritte col computer, poi stampate su carta (perché lì da lei non c’è l’internet) e spedite con la posta quella vera. Ma più lenta di quella vera. Perché Lucrezia, mi è parso di capire, vive presso un convento su un’isola del mare del nord (danese, norvegese, una cosa così). Non è che lei sia una suora, no, questo lo so per certo. È una che ha avuto una vita piena di cose, ha vissuto un po’ in un posto, un po’ in un altro e da qualche anno si è ritirata là in cerca di quiete. Il battello postale passa una volta alle settimana. Quindi i botta e risposta con lei, giocoforza, hanno i loro tempi.

Lucrezia scrive piccole storie. Racconta delle persone che, negli anni, ha conosciuto qua o là. Ho letto qualcuna di queste cose e mi è piaciuta.
Visto che aggiornare quattrozerotré mica sempre mi viene, ho pensato che qualcosa avrei potuto pubblicare qui. Le ho chiesto il permesso e lei ha acconsentito con piacere (anche se non sono certissimo che lei sappia bene bene cos’è un blog, lei al convento non ha l’internet, l’ho detto).

Quindi, da lunedì, e per tutta la settimana, ogni giorno ospiterò un suo post. Sette puntate in cui Lucrezia ci racconterà di Wolfgang, un suo amico, un cuoco tedesco, ma che ha anche lavorato in un obitorio (o per un’agenzia di pompe funebri, qualcosa del genere). Però lo ha fatto in tempi diversi, non è che si tratta di un racconto di antropofagia.

Tutta la storia dell’isola, del convento, del battello, che sia vera o meno, spiega bene un fatto: Lucrezia potrà anche rispondere ai vostri eventuali commenti, ma comunque lo farà coi tempi decisi dal battello postale. Io devo stampare, spedire, la busta deve arrivare lassù, aspettare nell’ufficio delle poste il giorno in cui il battello fa la consegna, lei deve leggere, rispondere, aspettare il giorno in cui il battello ripassa, consegnare la busta e infine io devo riceverla e ribattere nel blog i suoi commenti. Insomma, bisognerà aver pazienza.

Intanto cominciamo a leggere quello che ha da raccontarci.

Da lunedì.

giovedì 2 giugno 2011

messaggi da altrove



Mi mette davvero i brividi quando il microonde mi augura buon appetito... 


A volte penso che le voci siano Dio – ma in realtà mi chiedo se io sia pazzo
(sono in seminario per diventare prete) 



Di PostSecret, la prima volta ho parlato qui.





segreti della settimana (90)