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giovedì 11 novembre 2010

diegozzilab al via – o della non consecutività della scrittura


Oggi comincia il diegozzilab, se non siete tra i 150 fortunati iscritti ormai è troppo tardi per rimediare, ma potete sempre seguire tutto il corso lo stesso: è parimenti gratis e avrete il vantaggio di non dover fare i compiti (che poi Diego Cajelli correggerà, ossia correggerà aggratis i compiti di 150 iscritti, quell'uomo saprà anche scrivere ed insegnare, però è pazzo!)



Se non sapete cosa sia il diegozzilab potere scoprirlo leggendo questo post e quest'altro. In ogni caso, detto in due parole, si tratta di un corso di scrittura creativa e sceneggiatura, on line, tenuto aggratis da Diego Cajelli (lo scrittore atomico) che è pazzo.




Nella prima lezione di oggi il maestro fa un po' di chiarezza su vari aspetti dello scrivere e, tra le altre cose, dice:

In tutti i manuali che ho letto, in molti dei corsi che ho seguito in incognito, di solito si parte analizzando il primo scoglio della scrittura: la pagina bianca.
Sul blocco della pagina bianca sono state scritte intere enciclopedie.
Tutte sbagliate.
Il primo passo per scrivere è capire una differenza. Una differenza sottile, forse ovvia, ma spesso sottovalutata.
Non confondere mai l’azione di battere i tuoi ditoni sulla tastiera, o di pasticciare su un foglio con una penna, con l’atto di scrivere.
Azione e atto. Vanno separati.
Per scrivere, qui nel Diegozillab, intendiamo l’elaborazione della storia. La scrittura esercitata come puro pensiero o come film nella testa. Io scrivo mentre lavo i piatti, o fisso nel vuoto, o guido in autostrada. Dopo che l’atto è stato compiuto, in modo più o meno approfondito, puoi passare all’azione.
Ovvero: Non metterti mai davanti ad una pagina bianca se non sai prima che cosa scrivere.

[...]

Scrittura e lettura vanno d’accordo e sono amici. Lo sanno tutti.
Però, a livello creativo, è importante non confondere il rapporto con la narrazione che si ha da lettore, con quello che deve avere uno scrittore.
Da lettori, o da spettatori al cinema o alla tele, abbiamo un interazione lineare con il materiale narrativo che stiamo guardando/leggendo.
Iniziamo dall’inizio e finiamo alla fine. Non leggiamo i libri al contrario e non guardiamo i film usando il rewind. 
In molti pensano che anche la scrittura proceda allo stesso modo della lettura.
No.
No.
Non è così.
Non bisogna confondere il prodotto finale, che arriverà domani nelle mani dei lettori, con il prodotto in lavorazione, che è nelle tue mani adesso.
Ovvero: Non necessariamente una storia viene scritta nell’ordine in cui il lettore la leggerà.

Ecco, a quest'ultima affermazione mi fa piacere aggiungerci, di mio, un paio di esempi.

Lewis Carroll compose il suo poema "The Hunting of the Snark" partendo dall'ultimo verso: "For the Snark was a Boojum, you see" ("perché lo Snark era un Boojum, capite"). Carroll stava passeggiando e gli venne in mente quella frase, neanche lui sapeva cosa volesse dire, poi scrisse i tre versi precedenti in modo da avere in mano l'ultima strofa del poema e quindi buttò giù quella che alla fine risultò essere l'ultima (ottava) sezione dell'opera, con un curioso lavoro compositivo a ritroso. 

Ora voi potreste anche dire che, vabbe', quella è poesia e viene un po' come viene. Ma per la prosa è un discorso che vale ancora di più. Per esempio, quanto segue lo scrive Umberto Eco nel suo "Postille al Nome della rosa" pubblicato originariamente sul numero 49 di Alfabeta (giugno 1983):

Ho incominciato a scrivere nel marzo ‘78, mosso da una idea seminale. Avevo voglia di avvelenare un monaco. Credo che un romanzo nasca da una idea di questo genere, il resto è polpa che si aggiunge strada facendo. 

È spesso così, una storia nasce attorno a un osso, a volte un ossicino, il resto poi è polpa (e magari altre ossa) che si aggiunge strada facendo. A volte si parte da un alluce, a volte dalla spina dorsale, a volte dal naso, che non è neanche un osso, lo so.

Nella redazione di Diabolik di storie ne maciniamo parecchie (con un mensile e due speciali annuali, ci toccano più di una dozzina di storie l'anno, giocoforza) e, anche se Lewis Carroll o Umberto Eco giocano in un altro campionato, sempre narrazioni sono, narrazioni che nel caso di Diabolik – proprio per il loro essere "narrativa popolare" – devono avere nella solida costruzione dell'intreccio uno dei loro punti di forza.
Be', è quasi impossibile che una storia di Diabolik nasca dall'inizio. Spesso nasce attorno a un colpo di scena situato nella seconda metà della storia, a volte si struttura attorno a un'idea che invece sta nel primo terzo (e poi da questa scaturisce il grosso della vicenda) ma anche in questo caso all'idea ci si arriva dopo un po', che prima c'è quasi sicuramente un innesco narrativo e prima ancora un prologo, magari anche due.
Proprio in questo momento io e il capo stiamo lavorando a una trama (per combinazione nata da un'idea proprio di Cajelli) di cui fino a poco fa avevamo solo un colpo di scena che avviene abbastanza all'inizio e il finale della vicenda. Punto. Negli ultimi tre pranzi passati assieme abbiamo aggiunto quasi tutta la polpa che mancava (e una certa scena, che abbiamo già decisa in dettaglio, ancora non sappiamo se sarà il prologo o un flashback in fondo alla storia – che starebbe benissimo come prologo, ma nella seconda metà c'è poca azione e quella scena invece è molto forte).

E questa non consecutività della narrazione non vale solo per la stesura del soggetto (ossia l'ideazione vera e propria della trama) ma può valere anche in fase di sceneggiatura (ossia quando la storia è già tutta precisamente delineata e si tratta "solo" di scriverla, vignetta dopo vignetta, battuta dopo battuta).

Per esempio io mi lascio da scrivere per ultime le scene più "elastiche", ossia quelle che possono essere risolte in poche pagine oppure tenerne anche di più senza annoiare (è il caso di certe scene d'azione secondarie) e scrivo per prime quelle "fisse" (è il caso dei dialoghi esplicativi, gli "spiegoni", che più corti non si può farli e più lunghi spaccherebbero solo i maroni). E questo per semplici ragioni di comodità: visto che un albo di Diabolik è fatto tassativamente da 119 pagine a fumetti, se arrivo verso la fine che sono lungo la scena elastica la scrivo in modo sintetico, se sono corto la racconto più rilassato.

Ma mi è anche capitato di essere un po' in crisi con la scrittura di una storia e di procedere con qualche fatica, allora a quel punto sono passato diretto a scrivere il finale (e magari ero solo a metà del lavoro) e l'ho scritto subito meglio che potevo (che alle volte non scrivi meglio che puoi, scrivi un po' come viene e solo dopo ci torni sopra e lo fai bellissimo) e così, dopo aver scritto la frasetta "fine dell'episodio", sono ripartito a scrivere tutto il resto molto più spedito. Ché era un peccato far languire una storia che finiva così bene.

13 commenti:

anonimo ha detto...

insomma, la regola è che uno scrive un po' come gli viene

Ipofrigio

PS Questo Cajelli sarà senz'altro bravo, ma il tono da padreterno che sfoggia nella prolusione invoglia poco a seguirlo…

403 ha detto...

la regola è che uno scrive un po' come gli viene

proprio così, mentre (secondo me) c'è una visione "artistica" (contrapposta a quella "artigianale") che pensa alla scrittura solo come a qualcosa che ti metti lì e crei. Parti dalla pagina bianca e cominci la tua storia, magari senza sapere come andrà avanti... che è un legittimissimo modo di procedere (anche se, in certi ambiti professionali, non è accettabile) ma di sicuro non è  l'unico.

il tono da padreterno

no no... Cajelli è uno simpatico e ironico... e quando dice di picchiare chi dice diverso da lui scherza abbastanza (a me invece l'atteggiamento di chi la sa ed è consapevole di saperla lunga mi piace, certo, poi deve anche dirla giusta, ma mi pare che Cajelli, almeno per ora, lo faccia :)

anonimo ha detto...

Più che un tono da padreterno, ho proprio un tono da predicatore televisivo ammericano.
Infatti, quando faccio dei corsi live, mi accompagna una signora con i capelli rosa che annuisce quando parlo e ogni tanto dice: yeah man!
Faccio anche miracoli, ma solo dietro congruo compenso.

anonimo ha detto...

Ora voi potreste anche dire che, vabbe', quella è poesia e viene un po' come viene.

Solo un appunto per dire che la poesia non viene un po' come viene. Puo' nascere da un verso o un paio di versi, ma poi c'e' ilresto. Poi bisogna aver qualcosa da dire e trovare come dirlo.
Rem tene, verba sequentur. I verba non sempre sequentur e non sempre sequentur come vorremmo, ma se prima non hai la rem, tutta o in parte, in sequenza o in pezzi, da modellare e da cambiare, addio.

anonimo ha detto...

Intervengo per dire che l’ultimo Anonimo non sono io, e non sono nemmeno d'accordo con lui.

Ipofrigio

403 ha detto...

Ipo, anche l'IP testimonia a tuo favore...

Anonimo, (ma costa tanta fatica firmarsi, chessò, "g." oppure "ramarro" oppure "marco"? mah...) il mio latino non va oltre "lupus in fabula" e "tabula rasa", quindi non è che ho capito bene quello che hai detto. Comunque c'è poesia e poesia e, nello specifico, il poema di Carroll e parecchio narrativo. Che se poi pensavo davvero che la poesia va tutta sempre scritta a cazzo ti pare cha la usavo come esempio?

Diè! Benvenuto! Ti ci vedo benissimo a fare il telepredicatore! Tra l'altro diventeresti ricco (cosa che coi corsi gratis on line non so se ci riesci, proprio non lo so...)

anonimo ha detto...

Ciao, hai detto che scrivi per primo le scene "fisse" in modo da adattare quelle più elastiche. Questo è interesante perchè è lo stesso metodo che si usa nel disegnare la vignetta. Prima i baloons e poi si posiziona la scena..

Giac_72

403 ha detto...

Giacomo ciao e benvenuto!

è lo stesso metodo che si usa nel disegnare la vignetta

magari fosse davvero sempre così!!! Io ho lavorato con un bravissimo disegnatore che èerò ogni tanto i balloon decideva di disegnarli per ultimi, nello spazio residuo (grande o piccolo che fosse) con problemi di adattamento del testo che non ti dico.

(Graz, se mi stai leggendo, sì, sto parlando di te)

anonimo ha detto...

Ciao, so che è un post un pò vecchiotto ma mi sembrava corretto scrivere qui piuttosto che in coda a un post completamente fuori tema.
Sto seguendo il Diegozilla Lab (purtroppo come osservatore dato che mi sono accorto dell'iniziativa in ritardo).
Vorrei farti una domanda relativa ad uno dei tuoi commenti relativi alla prima lezione dove parli di autostima e senso critico relativo alle storie da scrivere in genere e alle storie da inviare ad eventuali redazioni.
A questo proposito, secondo la tua opinione di "addetto ai lavori", ritenendo le proprie storie valide, avrebbe senso inviare ad una redazione due o più soggetti + Sceneggiature?
O è meglio inviare una ed una sola storia?
Un'altra domanda che mi è saltata alla mente è se il fatto di consegnare personalmente o via posta possa fare una qualche differenza.

Grazie e Ciao.

Luigi

403 ha detto...

A questo proposito, secondo la tua opinione di "addetto ai lavori", ritenendo le proprie storie valide, avrebbe senso inviare ad una redazione due o più soggetti + Sceneggiature?
O è meglio inviare una ed una sola storia?

Non sapendo a quale editore stai pensando  ti rispondo con norme generiche che possono valere un po' per tutti.

Se hai due storie buone mandale entrambe, ma al massimo mandane tre, di più son troppe.

I soggetti devono essere corti, se non ti paiono abbastanza corti, prova a farli più corti, se più corti di tanto proprio non ti vengono, per ognuno scrivi in apertura un sunto dell'idea forte della trama (se non riesci a sintetizzare l'idea base della trama in dieci rghe potrebe essere che non c'è alla base un'idea abbastanza forte). Anzi, il sunto scrivilo anche se il soggetto ti è venuto corto abbastanza.

Quanto alle sceneggiature: le sceneggiature da leggere sono lunghe e pallose, anche quelle scritte bene. Se ti senti maturo per proporti come sceneggiatore, oltre al soggetto puoi mandare la sceneggiatura di una scena (al massimo due) che ti paiono venute sufficienetemente bene. Sei hai la fortuna che il redattore te le legga e che gli piacciono, ti chiederà lui di leggere il resto.

Come si sarà capito il redattore, nella mia visione, è uno che ha poco tempo e che sa che almeno il 90% delle proposte non va bene. Meno roba gli dai da leggere più è facile che ti legga (e che ti legga con attenzione).

Un'altra domanda che mi è saltata alla mente è se il fatto di consegnare personalmente o via posta possa fare una qualche differenza.

Nessuna differenza.

Potrebbe farla se oltre alla consegna a mano ti fosse concesso di fare una chiacchierata col redattore in questione (e questo solo nel caso tu sia particolarmente brillante) per il redattore sarebbe più facile ricordarsi di te e nel caso fosse oberato da proposte e cose varie da leggere, potrebbe leggere prima la tua per curiosità (e in ogni caso se è brutta resta brutta, poco importa la buona impressione che puoi aver fatto di persona).
Ma non conosco neanche un redattore che, nel suo prezioso orario di lavoro, sia disponibile a fare due chiacchiere con chiunque abbia qualcosa da proporre (anche perché sa che almeno nel 90% dei casi è tempo buttato via).

Mentre conosco più di un redattore che, presto o tardi, legge tutto quello che gli viene proposto, anche per posta elettronica o meno che sia (gli editori in genere e il fumetto seriale in particolare sono avidi di idee, i redattori non chiedono altro che gente che fornisca idee e sia in grado di svilupparle).

anonimo ha detto...

wow.. grazie mille per la risposta flash. :)

Luigi.

anonimo ha detto...

Scusa ma a questo punto la domanda forse stupida sorge spontanea.
Ha senso buttar giù soggetto e sceneggiatura completa se forse nessuno leggerà quest'ultima fino alla fine?
Certo, potrei buttarla giù comunque per una questione personale ma non sarebbe meglio sceneggiare le prime 2-3 tavole e sceggiare le altre 99999 solo quando ce n'è bisogno? :)

Luigi

403 ha detto...

Be', sì, il suggerimento era quello: scrivi solo una o due scene.

Non necessariamente la prima scena della storia, che magari è poco significativa, ti scegli una scena significativa, che metta bene in mostra le tue capacità e sceneggi quella (magari un po' più di 2 tavole, che da 2 tavole si capisce giusto se sai l'italiano) .